Nel marzo del 1985, ad appena 17 anni, Wayne Harrison ha il mondo ai propri piedi: il Liverpool campione d’Europa, il club per cui ha sempre tifato, lo ha appena acquistato trasformandolo nel teenager più costoso al mondo. Il destino però è in agguato, pronto a trasformare un sogno nel peggiore degli incubi.
Nella lunga storia del calcio certo non mancano i racconti di talenti straordinari che per numerosi motivi non sono riusciti a raggiungere quei traguardi su cui in tanti sarebbero stati pronti a scommettere. Ci piace pensare che il sistema che porta al successo sia equo, che a chiunque sia garantita una possibilità e che, di fatto, avere successo o meno dipenda esclusivamente dal mix giusto di talento, personalità e capacità di cogliere l’occasione giusta nel momento giusto.
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Wayne Harrison, il teenager più costoso al mondo
Wayne Harrison aveva talento da vendere: attaccante completo, rapido e capace di calciare con precisione con entrambi i piedi, era cresciuto nell’Oldham Athletic ed era emerso tanto rapidamente da attirare l’attenzione di numerosi club della massima divisione: gli osservatori che sempre più numerosi si recavano a vedere le partite della squadra riserve dei Latics, di cui era la stella assoluta, tornavano alla base con rapporti entusiasti.
Affermavano che un calciatore così nasceva una volta ogni vent’anni, che avrebbe rappresentato il futuro del calcio inglese, un entusiasmo giustificato dalle notizie che circolavano intorno al carattere del ragazzo: umile, dedito al lavoro, già maturo tatticamente al punto da aver esordito come professionista ad appena 16 anni.
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Certo come detto le incognite non mancano nella trasformazione di un potenziale talento in un campione a tutti gli effetti, ma il leggendario osservatore del Liverpool Tom Saunders non ebbe esitazioni quando lo vide all’opera: quel ragazzo avrebbe dovuto indossare la maglia dei Reds, e i dubbi del manager Joe Fagan vennero spazzati via dalla doppietta che lo stesso Harrison rifilò ai suoi in una sfida valida per la FA Youth Cup, due gemme che gli aprirono le porte di Anfield.
Wayne Harrison-Liverpool, un sogno che si realizza
Nato a Stockport il 15 novembre del 1967, Wayne era cresciuto tifando Liverpool e aveva sempre sognato di indossare la maglia di Keevin Keegan e Kenny Dalglish, gli idoli a cui si ispirava e di cui aveva il poster appeso in camera, i campioni che un giorno avrebbe voluto raggiungere sul grande palcoscenico del calcio.
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Fu per questo che nonostante le comprensibili paure che stesse succedendo tutto troppo in fretta accettò il trasferimento al Liverpool, che per bruciare la concorrenza di Everton, Nottingham Forest e Manchester United mise sul piatto la bellezza di 250.000 sterline, trasformandolo nel teenager più costoso nella storia del calcio. Allora nessuno poteva immaginarlo, ma quello che sembrava l’inizio di una bella favola si sarebbe trasformato in un lungo calvario.
Nel marzo del 1985, nel momento della firma con il Liverpool, Wayne Harrison ha alle spalle appena 6 presenze nel calcio professionistico: successivamente ne metterà insieme appena 4, un’altra con l’Oldham e 3 in prestito al Crewe Alexandra, nel 1988, ormai 21enne.
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Nessuna con il Liverpool, dove pure l’esordio sarebbe dovuto arrivare a distanza di pochi mesi dal suo arrivo, dopo una strepitosa serie di prestazioni con la squadra riserve che avevano finalmente convinto Fagan.
RIP Wayne Harrison – http://t.co/MSUmBXYlh2 pic.twitter.com/Wy3GCBBjiB
— Liverpool FC (@LFC) December 27, 2013
Una serie di terribili incidenti
A pochi giorni dalla gara che avrebbe cambiato la sua vita, scherzando con gli amici, Wayne finisce per inciampare e ferirsi gravemente dopo essersi schiantato contro la vetrata di una serra. Con le ambulanze locali in sciopero e un’arteria recisa, viene salvato quasi per miracolo: nessuno avrebbe scommesso su un suo ritorno, ma determinato a raggiungere il suo sogno Harrison riesce a ripartire, il sorriso di chi è certo di poter contare sul proprio sconfinato talento.
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Ma il talento da solo non basta, nel calcio come nella vita. Serve anche fortuna, e questa certo mancherà al ragazzo che sognava di diventare il Re della Kop, il talento che tutti giuravano avrebbe guidato l’Inghilterra. Due operazioni di ernia, continui e più o meno gravi fastidi muscolari, un problema riscontrato nella cartilagine del ginocchio: ogni volta che Wayne Harrison sembra pronto per spiccare il volo e recuperare il tempo perso finisce immancabilmente per ritrovarsi al punto di partenza.
Lo stop definitivo arriva Il 5 maggio del 1990, a cinque anni di distanza dalla firma che aveva cambiato la sua vita: ancora una volta capocannoniere della squadra riserve, Wayne sembra essersi finalmente messo tutto alle spalle. In procinto di segnare l’ennesimo gol, gli occhi rivolti al pallone, non si accorge del portiere del Barnsley che in uscita disperata lo travolge colpendolo fatalmente al ginocchio.
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La diagnosi dei medici è spietata: si tratta della rottura dei legamenti crociati, un infortunio da cui nelle sue condizioni è quasi impossibile tornare indietro. La scienza non fa miracoli stavolta, le operazioni a cui si sottoporrà negli anni successivi – ben 23! – gli permettono di tornare a camminare, ma solo quando il calcio ormai non è altro che un ricordo.
La tragica fine di Wayne Harrison
Nel 1991 Wayne Harrison deve alzare bandiera bianca: ha appena 22 anni e non ha mai potuto realizzare il sogno di indossare la maglia del Liverpool in una partita ufficiale. Il mondo in breve si dimentica di lui, che nel frattempo è costretto a reinventarsi dopo aver inseguito per l’intera infanzia e adolescenza il sogno di diventare un calciatore professionista.
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È talmente malmesso da non riuscire a scendere in campo nemmeno nell’amichevole con cui Oldham e Liverpool intendono omaggiarlo nel 1992: il ginocchio lo tormenterà per anni, in cui però non mostra alcun rimpianto mentre racconta di quel sogno a lungo carezzato ma solo sfiorato. Al “Liverpool Echo”, qualche anno dopo, racconta che il dolore è passato, tutto è alle spalle, e che se c’è una cosa positiva in tutta la sua storia è che niente potrà andare peggio di come è andata.
Purtroppo si sbaglia. Proprio quando sembra aver finalmente trovato pace e il suo posto nel mondo gli viene diagnosticato un tumore al pancreas, che dopo poco più di un mese lo uccide il giorno di Natale del 2013, quando ha da poco compiuto 46 anni. L’ultimo colpo basso di un destino cinico e baro, che si è ripreso con gli interessi tutto il talento che gli aveva donato alla nascita.
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Al suo funerale sono presenti gli amici, gli ex compagni di squadra dell’Offerton Green, l’ultimo club della Sunday League in cui ha giocato quando ormai nessuno più ricordava il suo nome. Con loro le grandi stelle del Liverpool in cui aveva sognato di sfondare, persino quel Kevin Keegan di cui era stato a lungo considerato l’erede, suo idolo come Dalglish, con cui avrebbe potuto persino duettare in campo se solo la sfortuna non si fosse messa nel mezzo.
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Al termine della messa risuonano le note di “You’ll never walk alone”, il coro che la Kop non ha mai potuto cantare per Wayne Harrison, “Rooney prima di Rooney”, il talento che tutti giuravano sarebbe diventato un campione e che invece campione non è mai stato, vittima di un fato avverso e implacabile.
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