Valdir Peres era il portiere del Brasile superato 3-2 dall’Italia di Paolo Rossi il 5 luglio del 1982: all’indomani della sconfitta fu considerato l’unico colpevole dell’eliminazione verdeoro e il suo nome divenne sinonimo di inadeguatezza nell’immaginario calcistico collettivo. Un’ingiusta condanna mediatica che lo ha perseguitato fino alla morte.
Soltanto all’indomani della scomparsa, avvenuta in seguito a un improvviso infarto il 23 luglio del 2017 ad appena 66 anni, qualcuno si azzardò finalmente a scrivere che Valdir Peres, eroe in negativo nel Brasile del Mundial 1982 in Spagna, era stato ingiustamente considerato l’unico colpevole di una delle tante tragedie calcistiche di cui è stata vittima la Seleção nel corso della sua storia.
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Un’assoluzione decisamente tardiva per un uomo tormentato per ben 35 anni dallo spettro di Paolo Rossi, di 90 minuti indimenticabili, quelli in cui l’Italia di Enzo Bearzot scoprì tutta la sua forza superando 3-2 un Brasile che fino a quel momento veniva considerato tra le più grandi squadre mai viste e che dopo l’eliminazione, come spesso accade alle grandi incompiute, avrebbe visto il suo mito crescere fino ad essere sovradimensionato.
Nel Brasile del futebol bailado di Telê Santana, che per molti avrebbe dovuto vincere in carrozza i Mondiali di Spagna e che poteva contare su fuoriclasse epocali come Cerezo, Falcão, Éder Aleixo, Sócrates e Zico, Valdir Peres era il portiere titolare. Era stato preferito a Émerson Leão, fuoriclasse che gli era superiore ma che era entrato in contrasto con il ct, ma non era certo l’ultimo arrivato: a 31 anni, dopo i Mondiali del 1974 e 1978 vissuti in panchina da spettatore non pagante, si trovava ad avere la grande occasione per mettere la ciliegina sulla torta in una carriera di tutto rispetto.
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Valdir Peres, una condanna ingiusta
Gran parte del pubblico nostrano, che lo ha conosciuto in pratica soltanto per quell’Italia-Brasile 3-2 passato alla storia, ignora ad esempio che negli anni ’70 il campionato brasiliano era uno dei più forti al mondo, dato che i grandi talenti restavano in patria invece di emigrare in Europa, e che in questo contesto Valdir Peres conquistò nel 1975 la Boula de Oro, il premio assegnato al miglior giocatore del Brasile.
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Un riconoscimento certo non comune per un portiere, a maggior ragione in un Paese che da sempre predilige talento e fantasia, un premio individuale di grande spessore che andrà a fare compagnia a una bacheca comunque ricca: ai Mondiali del 1982 Valdir Peres si presenta con un titolo nazionale, una coppa del Brasile e dopo aver vinto per quattro volte il campionato Paulista, tutti trofei conquistati con il São Paulo di cui è considerato un punto fermo dal 1973, anno in cui il Tricolor lo acquista 22enne dal Ponte Preta.
Certo non è Émerson Leão, ma è comunque un buon portiere e nei 22 convocati da Santana per il Mundial del 1982 non sembra certo stonare: il ct decide di affidarsi a lui dopo averlo visto neutralizzare due rigori consecutivi allo specialista tedesco Paul Breitner durante un amichevole con la Germania.
I verdeoro giocano un calcio arioso e spettacolare, e pazienza se l’estremo difensore all’esordio è protagonista di una papera che favorisce il vantaggio dell’Unione Sovietica con un tiro dalla distanza – tutt’altro che irresistibile – di Bal. Prima Sócrates e poi Éder ribaltano il punteggio, e poi soltanto chi non ha mai preso a calci un pallone può ignorare il fatto che gli errori capitano a tutti.
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5 luglio 1982, la tragedia del Sarriá
Quello contro i sovietici sarà l’unico errore di Valdir Peres ai Mondiali di Spagna del 1982. Perché se risulta impeccabile mentre il Brasile distrugge prima la Scozia e poi Nuova Zelanda e Argentina, incassando appena due reti a risultato già acquisito e senza colpe particolari, anche nella gara che segnerà la sua vita, a ben guardare, le sue responsabilità saranno minime.
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Pur potendo accontentarsi del pareggio il Brasile infatti non rinuncia ad attaccare un avversario che considera inferiore sulla carta, finendo per essere beffato da una squadra più pratica e concreta. Le analogie tra la “Tragedia del Sarriá” e il Maracanazo, che nel 1950 costa il titolo mondiale ai verdeoro, sono evidenti: identiche, purtroppo, saranno le conseguenze anche nell’opinione pubblica.
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Trafitto per tre volte da un Paolo Rossi che fino a quel momento non era ancora andato in gol e che poi risulterà determinante nel successo azzurro andando a prendersi anche il Pallone d’Oro, Valdir Peres non può essere considerato colpevole in nessuna delle reti che condannano una squadra bellissima ma decisamente poco grintosa, a tratti decisamente supponente e che spesso sembra dimenticare che nel calcio, alla fine, la prima cosa che conta è il risultato.
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Dopo appena 5 minuti Paolo Rossi viene pescato solo in area da Cabrini con un cross dalla trequarti, non può sbagliare e non sbaglia; sull’1-1 Cerezo e Junior regalano il pallone al limite dell’area al centravanti azzurro, che ancora una volta non fallisce; sul 2-2, infine, è l’intera difesa a dormire su un corner, con Rossi che infila dall’area piccola. In quest’ultimo caso Valdir Peres negli anni successivi dirà che rivedendo l’azione poteva uscire sui piedi dell’avversario, ma certo è che tutto il reparto avrebbe potuto fare meglio.
Una condanna lunga 35 anni
Gli anni che seguono alla “Tragedia del Sarriá” Valdir Peres li trascorre in un periodo di semi-anonimato, dimenticato dal calcio che conta: non verrà mai più preso in considerazione in Nazionale, e il suo nome verrà rievocato soltanto nei momenti in cui viene rievocato il Brasile del 1982, la grande incompiuta che ha lasciato una ferita incurabile nel cuore dei tifosi verdeoro.
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Certo qualcuno – anche in questo caso ingiustamente – punta il dito anche su Serginho, centravanti alto e concreto che però non possiede le movenze e la classe che piacciono ai brasiliani, ma il colpevole numero uno, ancora una volta, è il portiere: come già era accaduto nel 1950 a Moacir Barbosa, incapace di opporsi all’Uruguay, anche Valdir Peres viene condannato all’oblio dalle tre zampate di Paolo Rossi. Come nel caso di chi lo aveva preceduto, si tratta di condanne ingiuste, qualunquiste, di pancia, a cui nessuno però si oppone davvero.
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Così l’idea che il Brasile sia stato eliminato a causa di un portiere scarso e inadeguato entra nell’immaginario collettivo, travolgendo il povero Valdir Peres. Che chiude la carriera in squadre minori, che nel 1990 appende i guantoni al chiodo vincendo il Pernambucano con il Santa Cruz di Recife e poi tenta la carriera di allenatore. La grande occasione non arriverà mai, anche e soprattutto perché per tutti lui è e sarà sempre il portiere che non ha saputo opporsi ai tiri di Paolo Rossi.
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All’ultima panchina nel 2007, con lo sconosciuto Araguaína, segue un decennio in cui ancora una volta il suo nome viene chiamato in causa, in Brasile e qui da noi, per ricordare il cosiddetto “intruso” in una squadra spettacolare ma probabilmente sopravvalutata a causa dell’inevitabile effetto nostalgia. Il 23 luglio 2017 ecco la notizia della sua scomparsa, gli elogi funebri che hanno il sapore della pietà e del rispetto – finalmente – che si deve ai morti.
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In realtà, ingiustamente, Valdir Peres sarà sempre ricordato per quello che non è stato, il colpevole della fine di un sogno collettivo, quello del Brasile di Sócrates e del futebol bailado. L’uomo sbagliato, nel momento sbagliato, il 5 luglio del 1982.
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