Ricavi da aumentare, sfida al calcio tradizionale, vendibilità sul mercato mondiale: perché è nata l’idea della Superlega
La Superlega ora è anche ufficiale. Nella domenica 18 aprile 2021 si è assistito a un pezzo di storia, una storia di quelle che – comunque andranno a evolversi – cambierà per sempre il mondo del calcio. Prima l’indiscrezione del New York Times, poi la riunione urgente dell’ECA – senza i membri fondatori della Superlega – e poche ore dopo le dimissioni dei componenti dell’unione europea dei club che, in quel momento, avevano annunciato la rispettiva adesione al nuovo torneo.
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È successo tutto in fretta, con le 12 realtà pioniere del calcio del futuro (sei inglesi, tre tra italiane e spagnole) che cominceranno, a partire da oggi, a scrivere una nuova storia. Non necessariamente migliore, più appassionante o condivisibile, ma senza dubbio il calcio, proiettato nel futuro, ha probabilmente bisogno di un forte boost, soprattutto di questi tempi in cui i ricavi sono ridotti al minimo e le società, soprattutto certe società, sono strutturare come vere e proprie aziende.
La Superlega è questione di soldi
Al centro di tutto ci sono, semplicemente, i soldi: sporchi, maledetti e subito, come reciterebbe un famoso colossal cinematografico. Secondo le stime, le 12 società aderenti al progetto Superlega riceverebbero subito 350 miliardi di euro da spartire equamente tra loro, una vera boccata di ossigeno per realtà che, causa crisi Covid-19, hanno perso decine di miliardi di fatturato.
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Ovviamente, il messaggio implicito è anche e soprattutto rivolto alla UEFA, vista evidentemente come un organo incompetente e incapace di valorizzare il prodotto Champions League. Infatti, il tema dei diritti tv non va sottovalutato: i club della Superlega sono ormai delle vere e proprie media company, quindi pretendono di autoprodurre e piazzare autonomamente i propri contenuti, che oggi dipendono appunto dal massimo organismo europeo e quindi, di fatto, sono gestiti da terzi.
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Secondo indiscrezioni, il fatturato della Superlega supererà quello massimo garantito dal giro di soldi dell’attuale Champions League, arrivando a raddoppiare fino a triplicare gli introiti, toccando i 10 miliardi di euro nel medio termine. Troppi, per potervi rinunciare, e l’impressione è che anche i club “dubbiosi”, al momento giusto, si aggregheranno alle altre big europeo per disputare il maxi-torneo.
La #SuperLeague è stata fondata. Le repliche della Uefa arriveranno. Ci sarà forse un compromesso. Ma la strada è tracciata. Il futuro sarà diviso tra un calcio più elitario e un calcio più popolare e territoriale.
Bisognerà scegliere da che parte stare. A tutti i livelli— Marco Bellinazzo (@MarcoBellinazzo) April 18, 2021
Più intrattenimento che sport
Inoltre, la Superlega si propone di guardare al cliente a livello mondiale, cercando di rivolgersi a un pubblico mediamente giovane che si approccia al calcio non, o non solo in qualità di tifoso ma soprattutto di fruitore di un contenuto. La cosiddetta Generazione Z è il vero obiettivo, perché i post millennial oggi si sono disinnamorati del calcio e va fatto qualcosa per attirare nuovamente verso questo sport i clienti di oggi ma soprattutto del domani.
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Anche qui, il compito dei club sarà fondamentale, perché dovranno diventare veri e propri riferimenti dell’intrattenimento non solo per quello che riguarda il campo da calcio. La vera guerra sarà altrove, sul web – tramite istituzione di veri e propri comparti per gli eGames – e soprattutto sui social network, dove l’engagement è rapido e simultaneo, permettendo a un marchio di estendersi a macchia d’olio in tempo zero. Insomma, il marketing al centro di tutto, come peraltro si va ripetendo ormai da anni.
— ECA (@ECAEurope) April 18, 2021
Guerra istituzionale
In ogni caso, non è una casualità il fatto che l’annuncio della Superlega sia arrivato a 24 ore dalla riunione della UEFA che avrebbe ufficializzato la Super Champions League a partire dal 2024. La guerra è istituzionale, perché da una parte ci sono i club che – a loro dire – trainano il movimento calcistico mondiale senza avere adeguati ritorni, dall’altra un organismo accentratore al quale la si vuole far pagare.
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Nonostante le minacce di UEFA e federazioni locali, difficilmente si potrà impedire l’istituzione e lo svolgimento di un torneo privato tra aziende privare. Serve solo capire se e come la cosa potrà essere conciliata con ciò che già esiste, ovvero campionati e coppe europee “tradizionali”. La UEFA minaccia sanzioni ed esclusioni, ma quanto varrebbe una Champions League senza big? Poco, ovviamente, quindi prima o poi le tante polemiche di queste ore dovranno fare spazio a un po’ più di diplomazia. Tutto il resto, a oggi, è strumentalizzazione.
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