Con la vittoria sul Manchester United, il Siviglia si è conquistato l’ennesima finale di Europa League. Ma tutto è partito da una clamorosa rivoluzione
L’Europa League è molto semplice: si giocano una serie di partite e alla fine vince il Siviglia. Winston Churchill si sarebbe autoparafrasato così se fosse vissuto ai giorni nostri, vivendo l’epopea europea del club biancorosso. Gli andalusi, con il 2-1 rifilato al Manchester United, si sono conquistati la loro sesta finale di Europa League negli ultimi 14 anni.
Un risultato impressionante, che ha proiettato il Siviglia subito dietro le tre grandi del calcio spagnolo. Che, per inciso, quest’anno hanno fatto molto peggio di Julen Lopetegui e dei suoi ragazzi, visto che i blanquirrojos sono l’unica compagine iberica ancora in lotta per vincere un titolo internazionale, confermandosi così come uno dei club dall’attitudine europea più forte e identitaria.
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Siviglia, i numeri del dominio europeo
Mentre il Manchester United perde la sua terza finale della stagione – era già caduto in League Cup e FA Cup -, il Siviglia si appresta a giocarsi l’ennesimo titolo internazionale, vincendo per la precisione la quarta semifinale dal 2014 a oggi. Nelle altre stagioni in cui non si è presentato al via in Europa League, semplicemente, gli spagnoli erano impegnati in Champions, dove spesso sono andati incontro a cocenti delusioni, tipo eliminazione da parte del Leicester nell’anno in cui in panchina c’era Sampaoli.
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Invece l’Europa League sembra proprio l’habitat naturale di un Siviglia schiacciasassi: dopo il doppio successo nel 2005 e nel 2006, con in panchina Juande Ramos, gli andalusi si sono ripetuti per ben tre volte tra il 2014 e il 2016, durante la straordinaria gestione di Unai Emery.
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Che, proprio grazie al Siviglia, ha avuto modo di conquistarsi prima il PSG e poi l’Arsenal. E quest’anno, dopo un ottima ripresa post lockdown, la squadra si è qualificata per la Champions, ma qualora dovesse ‘retrocedere’ di nuovo rientrerebbe ancora nel novero delle favorite per la vittoria finale.
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La creazione di Monchi
La mente dietro al quale si cela un periodo così largo fatto di successi e soddisfazioni è sicuramente quella di Ramon Monchi. Il dirigente spagnolo, che tra i pali del Siviglia ci ha speso una vita quando calcava i campi di calcio, è tornato al club ai tempi della seconda divisione e, nell’ultimo ventennio, grazie alle sue politiche improntate principalmente sulla programmazione a lungo termine e lo scouting, ha ribaltato l’ambiente come un calzino.
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Sotto la sua gestione, sono arrivati in prima squadra un sacco di ragazzi cresciuti nel settore giovanile: dal compianto José Antonio Reyes a Sergio Ramos, passando per Diego Capel, Jesús Navas e fino ad Alberto Moreno. Per non parlare, poi, delle sue grandi intuizioni di mercato, che hanno permesso al Siviglia di vincere quasi tutto dal 2000 in poi. Dalle parti del Ramon Sanchez Pizjuan sono passati Jordi Alba, Dani Alves e Ivan Rakitic, tanto per dire i primi tre big che poi hanno fatto grandi cose anche altrove.
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Eppure, nel suo anno e mezzo alla Roma, Monchi sembrava aver perso il suo intuito per gli affari. Nonostante abbia portato nella Capitale una pepita – seppure grezza – come Nicolò Zaniolo, lo spagnolo non ha lasciato un grande ricordo, lasciandosi molto male con la piazza. Per ripartire allora ha scelto di nuovo Siviglia, lasciato in lacrime solo quale tempo prima. E il tocco da Re Mida, magicamente, è tornato a colpire.
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Un mercato rivoluzionario
Ma che squadra è il Siviglia che si giocherà per l’ennesima volta l’Europa League? Beh, di certo un gruppo decisamente rivoluzionato: dopo la stagione in chiaroscuro dell’anno scorso, Monchi ha deciso di ribaltare le gerarchie, monetizzando con due dei pezzi grossi degli ultimi anni (Pablo Sarabia e Wissam Ben Yedder) e mettendo nel motore nuove forze fresche, in grado di riportare gli andalusi al top in breve tempo.
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Gente come Jules Koundé o Diego Carlos, piuttosto che Lucas Ocampos – mvp dell’ultima Liga -, Joan Jordan, Fernando Reges e soprattutto Sergio Reguilon sono tutte idee portate avanti dallo stesso Monchi e avallate da Julen Lopetegui, che proprio come il dirigente spagnolo aveva necessità di rilanciarsi dopo l’epilogo deludente al Real Madrid. Lopetegui ha armato un 4-2-3-1 offensivo, di palleggio, capace di fare possesso spasmodico ma efficace.
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Tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile. Post sosta, ha puntato forte su un cambiamento offensivo che di fatto ha promosso Suso ed En-Nesyri tra i titolari, al posto di Munir e de Jong. Contro il Manchester United è stato premiato, sia per le scelte iniziali che per i cambi. E adesso, meritatamente, può andare a giocare il primo titolo della sua carriera. Sperando che l’Europa League, ancora una volta, prenda la via del Sanchez Pizjuan.
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