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Sarà lo Shakhtar Donetsk l’avversaria dell’Inter nella semifinale di Europa League. Un avversario ostico, con grande esperienza e tanti punti di forza

Sulla strada tra l’Inter e la finale di Europa League, in programma in Germania a fine mese, c’è ancora un pericoloso ostacolo. Per arrivare all’ultimo atto di una competizione che Antonio Conte è andato solo molto vicino a vincere, i nerazzurri dovranno superare le resistenze dello Shakhtar Donetsk, compagine ucraina che – pur non rappresentando un movimento calcistico dei più rinomati – in ambito europeo è ormai da anni una vera e propria garanzia.

Nel quarto di finale giocato in gara secca, gli uomini di Luis Castro si sono sbarazzati senza problemi del malcapitato Basilea, trascinati ancora una volta dalla folta colonia brasiliana.

Junior Moraes, Marlos, Taison e Allan Patrick sono solo gli ultimi sudamericani ad aver sfruttato la vetrina Shakhtar per avere visibilità nel Vecchio Continente, all’interno di un processo di crescita imperniato principalmente su calciatori provenienti da Rio de Janeiro e dintorni.

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Shakhtar do Brasil

Un vero e proprio tratto distintivo, quasi storico, perché dalle parti di Donetsk i brasiliani sono ormai di casa da circa 15 anni, ovvero da quando sulla panchina dei Minatori si è seduto Mircea Lucescu, secondo allenatore straniero della storia dello Shakhtar dopo Nevio Scala. Lucescu, che aveva intuito le potenzialità di un mash up tanto insolito quanto stimolante, ha creato un vero e proprio ponte diretto con il Brasile, portando in Europa e valorizzando una miriade di carneadi verdeoro.

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Secondo le stime Transfermarkt, il lavoro di Lucescu ha fruttato nelle casse dello Shakhtar circa 320 milioni di euro, tutti derivanti dalle sole cessioni. Una cifra astronomica, che non solo è servita al club per tornare a contrastare definitivamente il colosso Dinamo Kiev, ma anche a rimpinguare le casse personali di Rinat Akhmetov, potente oligarca diventato grande grazie a loschi legami con l’ex URSS e al commercio di gas.

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Negli anni, lo Shakhtar ha lanciato un sacco di calciatori che poi hanno sviluppato un’ottima carriera altrove. Da Douglas Costa a Fernandinho, passando per Willian, Mkhitaryan, Elano, Tymoschuk e Luiz Adriano, fino ad Alex Teixeira, cessione record della società che se n’era liberata spedendolo in Cina per 50 milioni di euro. E che dire di Chygrynskyi? Protagonista in patria, carneade al Barcellona, che nel 2009 sborsò addirittura 25 milioni di euro per portarselo in Catalogna.

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Un DNA fortemente europeo

Come detto in precedenza, lo Shakthar Donetsk – che del capoluogo del Donbass ha mantenuto solo più il nome, visto che negli ultimi anni è stato confinato a giocare tra Leopoli e Kharkhiv per via della delicata situazione della Crimea – ha uno storico europeo molto importante, costruito in particolar modo durante i 12 anni di gestione Lucescu. Il rumeno, che ai tempi era finito ai margini del calcio che conta, ha aiutato Akhmetov a modellare il proprio business, ottenendo risultati importanti anche in campo internazionale.

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Nella stagione 2008/09 è arriva la prima, e fino a oggi unica, gioia europea grazie alla vittoria in Europa League, ottenuta nella finale di Istanbul contro il Werder Brema. I tedeschi ci arrivarono da favoriti, ma caddero sotto i colpi di Luiz Adriano e Jadson, che nei primi minuti dei tempi supplementari segnò la rete della vittoria fissando il finale sul 2-1. In campo c’erano calciatori di tutto rispetto come il capitano Srna, Willian e Fernandinho, che pochi mesi dopo lascerà Donetsk per trasferirsi in Inghilterra.

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Possesso, palleggio e fantasia

Ma come sta oggi lo Shakthar? La squadra, dall’estate del 2019, è stata affidata a Luis Castro, allenatore portoghese che, all’improvviso, è stato chiamato a sostituire Paulo Fonseca, accasatosi alla Roma. La prima stagione di Castro è andata tutto sommato abbastanza bene, visto che l’allenatore lusitano – oltre a portare i Minatori in semifinale di Europa League – ha vinto il campionato locale, lasciandosi ancora una volta alle spalle il colosso Dinamo Kiev.

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A livello tattico non ha stravolto l’idea di calcio appartenuta prima a Lucescu e poi a Fonseca. Il modulo base è sempre il 4-2-3-1, imperniato principalmente sulla qualità dei calciatori presenti da centrocampo in su. I due mediani fanno un lavoro molto importante nella doppia fase e, proprio per questo motivo, accanto a Stepanenko l’allenatore ha lanciato definitivamente il talentuoso tuttocampista classe 2000 Marcos Antonio, prossima plusvalenza del club.

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Davanti, invece, il terminale offensivo è Junior Moraes, strappato a parametro zero alla Dinamo nell’estate del 2018. Moraes è il terminale offensivo perfetto per sposarsi con la qualità dei trequartisti. Al centro si muove Alan Patrick, uno dei profili ai quali l’Inter dovrà fare più attenzione, mentre dagli esterni partono Taison e Marlos, entrambi inclini a riempire il campo per andare a scambiare nello stretto tra le linee.

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I problemi nascono dietro, dove gli ucraini potrebbero soffrire parecchio la fisicità dei nerazzurri. Va però anche detto che, a oggi, lo Shakhtar in Europa ha praticamente sempre blindato la difesa. A parte la rete, peraltro ininfluente, subita contro il Basilea, Pyatov ha raccolto solo tre volte la palla dalla propria rete dagli ottavi di finale in poi.

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Insomma, l’Inter è chiamata a un esame di maturità mica da poco, testimoniato dalla distanza che i due club hanno attualmente nel ranking UEFA (84 punti degli ucraini contro i 40 dei nerazzurri). Ma, arrivati a questo punto, a far la differenza saranno solo le motivazioni. Che a Conte, statene certi, non mancheranno affatto.

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