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Semedo si è trasferito al Wolverhampton, similmente a quanto fece Inler nel 2015 andando al Leicester: lasciano grandi squadre e grandi città per andare in piccoli centri. Ma non è deprimente?

Ieri sera su Sky Sport la programmazione proponeva, alle 18:30, Wolverhampton-Chelsea, finita 2-1, risultato che aiuta molto i padroni di casa. Nei Wolves quest’anno ci è andato a giocare Nelson Semedo, che dopo 82 presenze col Barcellona – di cui 35 in Champions League – ha lasciato la Rambla e Montjuig per andare al Molinaux, nel freddo dell’hinterland di Birmingham.

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Fonte immagine (profilo Twitter Nelson Semedo)

Al di là dell’aspetto calcistico, non è un panorama entusiasmante: lasciare il caldo di Barcellona – nonché una metropoli con più di 20 milioni di turisti l’anno – per andare in quella che la Lonely Planet ha descritto come la più brutta d’Europa è poco affascinante. I motivi di Semedo però sono chiari. Il livello del campionato rimane molto alto (Premier League), i soldi sono tanti, la visibilità pure, il contesto di squadra è di incredibile soddisfazione. Eppure ci ricordiamo tutti della faccia che aveva Cutrone quando era atterrato in Inghilterra, appena dopo aver lasciato il Milan, proprio per andare ai Wolves. Non importa se ti dedicano i cori della domenica.

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Come Semedo, che ha lasciato Barcellona per motivi contrattuali e “sportivi”, ogni tanto se ne sentono altri. C’è stato Inler, che ha abbandonato Napoli per Leicester, Deulofeu, che pur di rimanere nei radar dei massimi livelli, ha scelto di lasciare Watford per andare nella provincia italiana, a Udine.

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Per un tifoso o una persona normale spesso quello professionale è un dubbio ricorrente. Andrei mai a giocare in un posto con una qualità di vita meno allettante pur di rimanere nel mio solito contesto lavorativo? Non tutti pensano che essere perfetti professionisti sia tutto. Certo lo pensa Roberto D’Aversa, che a fine campionato, ha rifiutato un contratto milionario offerto dal Pyramids F.C., una squadra del Cairo, in Egitto. Il contrario invece lo fece Massimo Ficcadenti molti anni fa. Dopo aver allenato in Serie A Cesena e Cagliari, se ne andò nel 2014 all’F.C. Tokyo, una delle squadre più importanti del Giappone. Da Is Arenas a Harajuku il cambiamento non è male.

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Eppure Semedo ha delle ragioni. Delle ricche, ragioni

Certo non è tutta una questione di lavoro. Ci sono anche gli interessi dei procuratori, purtroppo sempre più pressanti ed esigenti, le volontà dei club d’appartenenza, che richiedono una certa cifra. E anche l’ambizione di un giocatore, che comunque, di tempo per andare nei musei e divertirsi non ne ha mai molto. Oltretutto, quando si è inteso che un allenatore o un dirigente non ha più a cuore il tuo servizio in campo, è naturale pensare di voler cambiare aria ed essere disposti ad andare in un’alta squadra, pur di giocare.

Di andare, quindi, anche in posti dove la famiglia non vorrebbe trasferirsi. D’altronde, tutti ci siamo sentiti un po’ la moglie di Gaudio quando gli hanno chiesto di lasciare Roma per trasferirsi a Catanzaro.

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Poi insomma, i contratti con cifre agevoli come quelli dei calciatori (di un certo livello) permettono di avere case-vacanze. Nessuno ha mai detto che Manchester sia un bel posto – diceva Mark Twain: mi piacerebbe trasferirmi a Manchester, il passaggio da Manchester alla morte sarebbe inavvertibile – ma poco importa se hai una casa come quella di Pogba.

Spesso però vivono in hotel e sono ricattati da situazioni passeggere, come prestiti o contratti brevi, e anche questo, poi, fa pensare cose del tipo: “ok, per un anno posso accettarlo”. Ma non è facile, nonostante le comodità figlie di un lauto stipendio e la soddisfazione professionale, passare dal vivere in una grande città alla provincia. Soprattutto se è fredda e inglese.

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Soprattutto quando sei giovane. Arnautovic, dopo essersi trasferito allo Stoke Ciy, affermò che quando era arrivato all’Inter si sentiva in una realtà privilegiata, unica; per lui – che veniva da un piccolo paesino in Austria – era come essere arrivato a New York.

Insomma Semedo sicuramente sarà sicuramente agevolato, nella sua vita inglese, dai soldi del suo contratto (uno stipendio lordo di 7 milioni di euro) e dalla possibilità – condivisa da molti colleghi di squadra – di poter fare qualcosa di interessante a Birmingham, una delle città più vivaci d’Inghilterra. Eppure quanto deve essere noioso vivere a Wolvherampton, e quanto deve essere nostalgico pensare alla Barceloneta.

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