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Roberto Mancini guida la Nazionale alla vittoria dell’Europeo nello stesso stadio dove, 29 anni fa, aveva perso la finale di Champions League.

“È la chiusura di un cerchio”. Così Roberto Mancini ha commentato la vittoria azzurra di ieri. Il grande successo del gruppo, ma il trionfo del condottiero, di quel “pazzo” che ci ha sempre creduto. Roberto Mancini ha stravolto la Nazionale italiana, ha preso una squadra in piena depressione, nel momento più basso della sua storia, e l’ha portata sul tetto d’Europa. All’impresa il CT ha aggiunto anche un pizzico di soddisfazione personale, prendendosi la propria rivincita su quei fantasmi che hanno aleggiato sulla sua straordinaria carriera da calciatore.

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Il riscatto di Roberto Mancini

La vittoria dell’Europeo è una doppia rivincita per il Mancio. Il CT fa pace finalmente con quei colori azzurri che tanto l’hanno fatto soffrire da giocatore: il Mondiale saltato nel 1986,  quell’urlo liberatorio contro la Germania nel 1988, le Notti Magiche viste dalla tribuna nel 1990, la bocciatura nel 1994. La Nazionale è stata sempre un tasto dolente per Mancini, ora finalmente è arrivato il successo, ed è tutto del condottieri di Jesi, che ha avuto una visione e l’ha rivelata al mondo.

Poi c’è la rivincita a Wembley. Quel maledetto Wembley dove nel 1992 si è fermata, a un passato dall’impresa, la storica Sampdoria di “Vialli y Mancini”. Una squadra bellissima, imperniata intorno a una delle coppie gol più forti di sempre. A quei due amici, prima che compagni, che per poco non hanno portato i colori blucerchiati sul tetto d’Europa. Dopo uno scudetto storico, la finale di Champions persa contro il Barcellona, a Wembley.

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29 anni dopo in quello stadio Mancini e Vialli si prendono la propria rivincita, battono l’Inghilterra e conquistano l’Europeo nel tempio del calcio. Chiudono una ferita che sanguina da 29 anni. E Mancini dedica la vittoria ai sampdoriani, al suo popolo. L’Europeo chiude il cerchio, risana le ferite del Mancio calciatore. Perché la vittoria di Wembley passa per un altro successo in quello stadio, contro la Spagna in semifinale, la Spagna più catalana che ci sia, costruita attorno a Luis Enrique ed epurata dai calciatori del Real Madrid. E allora Mancini batte quella Spagna particolarmente catalana, come non è riuscito a fare col Barcellona 29 anni prima.

“Ho pianto trent’anni fa qui, ho ripianto oggi”. Ma stavolta sono lacrime di gioia, di riscatto. Lacrime catartiche. Da Wembley a Wembley si chiude un cerchio e finalmente Roberto Mancini può fare pace con i propri fantasmi, regalando una gioia immensa a tutto un popolo, anche se ai sampdoriani un po’ di più.

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