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A meno di nove anni dal fallimento i Rangers sono tornati in cima al campionato scozzese. È la vittoria di Gerrard, ma non solo

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Il successo era preventivabile, ma è arrivato con ampio anticipo grazie, ironia del destino, alla non vittoria dei rivali storici di sempre. I Rangers vincono la loro Scottish Premier League numero 55 e lo fanno a pochi anni da un fallimento epocale, di quelli che avrebbero potuto spazzare via l’intera storia di una delle squadre più vincenti di Scozia.

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Invece, a distanza di qualche stagione, dopo una lenta e dispendiosa risalita i Rangers possono tornare a festeggiare un prestigioso trofeo, vinto meritatamente e dominando – letteralmente, numeri alla mano – una campionato che non ha avuto nulla da dire sin dal principio. Erano anni che il Celtic non veniva così ridimensionato e nemmeno nelle scorse stagioni, con i Gers che stavano via via ricostruendosi, il campo aveva dato un verdetto così marcatamente impari.

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Rangers, la creatura di Gerrard

Come già sottolineato molte volte, il merito di questa vittoria dei Rangers è da scrivere principalmente all’arrivo in panchina di Steven Gerrard, il cui approdo ad Ibrox ha rappresentato una svolta decisiva nel cambio di mentalità e nella proposta di un calcio più moderno ed europeo. L’identità cucita attorno alla squadra è chiara e ben definita, a tal punto che i Rangers – oltre ad aver facilmente vinto il campionato – hanno fatto un ottimo percorso anche in Europa League.

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Gerrard ha preso un intero popolo per mano, ha aiutato la società a delineare una strategia produttiva e ci ha messo la faccia, in prima persona, per convincere la maggior parte degli acquisti recenti ad accettare un contesto di secondo piano, in cui però costruire qualcosa di importante. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: mentre il Celtic è uscito ridimensionato in Europa, passando da diverse crisi tecniche, cambi di allenatori e psicodrammi vari, i Rangers – solidi e compatti – hanno praticamente fatto percorso netto.

Discesa e ritorno

In meno di nove anni i Rangers sono tornati sul trono di Scozia, ricostruendo pezzo dopo pezzo un’identità che il fallimento per bancarotta fraudolenta avrebbe potuto spazzare definitivamente via. Il 2012 è stato l’anno zero, con la sparizione del club e la famosa marcia dei tifosi per le strade di Glasgow a chiedere a gran voce che i Gers venissero salvati.

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“Se giocherete per strada, saremo sui marciapiedi a tifare per voi” diceva uno slogan. In effetti, negli anni i fan dei Rangers non hanno mai fatto mancare il loro apporto, nemmeno nei momenti più complicati come la promozione in prima divisione mancata del 2015. Per il resto, il percorso è stato quasi netto, condito da qualche soddisfazione nell’Old Firm e, appunto, da una nuova dimensione europea portata in dote dallo stesso Gerrard.

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Fonte immagine: @rangersfc (Instagram)

Una squadra imbattibile

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Da sottolineare c’è anche la crescita a livello tecnico di una squadra che, nel recente passato, veniva tacciata di giocare un calcio troppo fisico e superato. Invece, con Gerrard i Rangers hanno da subito adottato il 4-3-3 come modulo di base, inserendo al suo interno tanti giocatori di qualità. La palla si gioca, non si lancia, e tutti partecipano.

 

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A beneficiarne sono stati in molti, da Alfredo Morelos – attaccante colombiano che anche quest’anno ha toccato la doppia cifra – fino a James Tavernier, terzino dall’insensato istinto per il gol. E poi Ryan Kent, uno di quelli sbarcati in Scozia grazie alla presenza del manager ex Liverpool, passando per Joe Aribo, il terzino sinistro Barisic (accostato in passato anche a qualche squadra italiana), il delizioso Ianis Hagi e i veterani della squadra, come il capitano Goldson e l’esperto portiere McGregor.

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“È davvero difficile fare analisi adesso – ha detto Gerrard alla BBC subito dopo aver appreso della vittoria – sono contento per i miei ragazzi ma soprattutto per i tifosi, che anche in momenti particolari come questo non hanno mai fatto mancare il supporto”. Loro fuori Ibrox, la squadra dentro a bere, cantare e ballare con Stevie G al centro delle danze, alla faccia del suo proverbiale aplomb britannico. Ma per questa volta un’eccezione è giustificata.

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