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Il Porto è tornato a ottimi livelli grazie al lavoro di Sergio Conceição, capace di stravolgere gli equilibri. E adesso punta agli ottavi di Champions League

“Un percorso di crescita passa anche da sconfitte come questa. Il fatto che ci attenda una partita importante non è una scusa, perché per le mie squadre qualunque match deve esserlo”. Lo avevamo lasciato così, Sergio Conceição, davanti alle telecamere della mix zone dell’Estadio Capital do Movel: il suo Porto aveva appena perso l’anticipo dell’ultimo turno di Liga NOS contro il Paços Ferreira e, il tecnico dei Dragoni, non l’aveva presa affatto bene.

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A distanza di circa quattro giorni, Sergio Conceição è tornato a sorridere, perché la partita alla quale si riferiva implicitamente venerdì scorso è stata vinta. Il 3-0 rifilato al Marsiglia in Champions League è un risultato importantissimo per il Porto. Per due motivi: il primo, di classifica, riguarda la seconda posizione raggiunta alle spalle del Manchester City. Il secondo, invece, è messo in luce dal successo contro la squadra che, verosimilmente, dovrebbe contendere il secondo posto proprio al club portoghese.

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Porto, il fattore Sergio Conceição

La vittoria in Champions League sul Marsiglia certifica la dimensione internazionale ormai acquisita dal Porto. Non tanto per il risultato in sé, ovviamente, quanto per il fatto che la squadra di Sergio Conceição ora sembra veramente matura per tornare ai fasti di inizio secolo, magari non vincendo la coppa ma sedendosi nuovamente al tavolo delle big. Se davvero questa cosa accadrà, grosso del merito sarà da ascrivere al grande lavoro portato avanti dal tecnico biancoblu.

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Figlio adottivo del leggendario Pinto da Costa, Sergio Conceição si è seduto sulla panchina del Porto nel 2017, in seguito ad alcune stagioni anonime che, oltre tutto, avevano portato la UEFA a indagare profondamente sui conti del club. Serviva ripartire da qualcuno che avesse il club nell’anima, che capisse come approcciarsi in maniera efficace a un ambiente ormai diventato una pentola a pressione. Mentre il Benfica inanellava titoli, il Porto si mordeva le mani.

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Sergio Conceição ha lavorato sulla mentalità della squadra ereditata in seguito a una stagione disastrosa, e solo in un secondo momento ha cominciato a darle la sua impronta tattica. Con il materiale a disposizione, il tecnico lusitano è stato bravo a plasmare una squadra funzionale, capace di tornare ai vertici portoghese nonostante le mille difficoltà societarie. Lui stesso, dopo aver perso la finale di Taça da Liga contro il Braga, lo confermò: “Sono qui da quasi tre anni e non ho mai potuto lavorare come avrei voluto”.

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Parole forti che suonavano di addio, ma la dirigenza si è seduta a un tavolo e ha deciso di provare a ricucire lo strappo. Il minimo comune denominatore di questo triennio, sostiene Sergio Conceição, è legato al fatto che il Porto non riesce più a trattenere i migliori. Una storia che va avanti dai tempi di Falcao, James Rodriguez e poi Ruben Neves: “Ho sempre cercato di adattare idee e giocatori, fondendo le mie conoscenze con ciò che i ragazzi effettivamente mi possono dare”, racconta.

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Un laboratorio di idee

Il Porto gioca un calcio all’apparenza semplice, ma strutturato su ritmi alti e proposta, organizzato a immagine e somiglianza di un allenatore giovane, capace però di assorbire ogni lezione imparata negli anni in cui si è seduto in panchina. Un processo di maturazione, quello di Sergio Conceição, cominciato nell’Olhanense e proseguito tra Academica, Braga, Vitoria Guimaraes e Nantes. In Francia ha affinato alcuni spigoli riguardanti la gestione del gruppo, con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

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Tatticamente, il Porto non ha un modulo proferito, ma varia spartito molto bene adattandosi all’avversario di turno. Anche a livello di singoli, Sergio Conceição ha responsabilizzato tutti i componenti della rosa, rendendoli duttili e utili a ogni tipologia di situazione. Per esempio, puoi trovare Jesus ‘Tecatito’ Corona schierato da terzino destro di un 4-3-3 e la partita successiva esterno alto in un 4-2-3-1. Dovendo spesso aver a che fare con cessioni importanti – ultime, cronologicamente parlando, quelle di Alex Telles e Danilo Pereira -, adattarsi diventa inevitabile.

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Per questo Sergio Conceição ha sviluppato un rapporto molto intimo con i suoi calciatori. Non si contano più le intuizioni avute durante il suo triennio. Corona, ma non solo, perché il Porto è un melting pot perfetto di gente sconosciuta ai più e poi valorizzata – per esempio, i colombiani Diaz e Uribe -, calciatori le cui carriere hanno avuto una svolta (Sergio Oliveira, Marega, Marchesin e Otavio) e gente all’ultimo stint, tipo Pepe, portista dentro alla pari del tecnico.

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Le porte girevoli del do Dragão

Per dare un’idea delle condizioni nelle quali Sergio Conceição ha dovuto lavorare, basti pensare che nelle campagne acquisti in uscita condotte dal Porto da quando il 46enne di Coimbra si è seduto in panchina, il Porto ha incassato oltre 300 milioni di euro. Inoltre, come tutti i club portoghesi, i Dragoni operano spesso tramite i fondi di investimento, tra i quali figura la Gestifute di Jorge Mendes.

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Per certi versi, quindi, Sergio Conceição ha lavorato in un contesto di perenne incertezza, al quale ha contribuito la poca concorrenza in patria, visto che la Liga NOS si limita da sempre al duello tra i biancoblu e il Benfica. Eppure, in bacheca sono arrivati ben quattro titoli, tra i quali figurano due campionati. Un traguardo importante, se consideriamo che prima del successo del 2018 gli Encarnados arrivavano da cinque successi consecutivi. Un inizio, quello che si augurano anche i tifosi del Porto.

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