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La grandezza di un allenatore non si misura solo con i trofei, ma anche con le scelte che definiscono l’uomo prima del professionista. La storia di José Mourinho all’Inter racconta proprio questo: un legame che va oltre il calcio giocato, fatto di rispetto e lealtà verso la famiglia Moratti.

“Potevo andare al Real Madrid dopo la prima stagione all’Inter”, rivela Mourinho, raccontando un retroscena che dimostra la sua integrità. “Avevo firmato per restare più di un anno e avevo un rapporto incredibile non solo con il Presidente ma anche con la moglie e i suoi figli”. Una scelta di cuore, presa nella villa di Moratti, dove si decise di proseguire insieme il percorso che avrebbe portato alla gloria.

Il gruppo dei campioni

La lealtà di Mourinho non era solo verso la proprietà, ma anche verso un gruppo straordinario di campioni. “Non ho mai visto una panchina così dal punto di vista umano”, racconta lo Special One. “Toldo, Cordoba, il campione del mondo Materazzi, Stankovic… Bisogna essere veramente gente di squadra per avere questa empatia collettiva”.

La vera prova di lealtà arrivò nel momento più alto: “Ho rifiutato di firmare il contratto con il Real Madrid prima della finale contro il Bayern Monaco”. Una decisione che sottolinea il rispetto per il club e per una missione da completare. Solo dopo aver scritto la storia con il Triplete, Mourinho si concesse di pensare al futuro.

“Dopo la finale non sono tornato a Milano”, confessa l’allenatore portoghese, “perché avevo paura che le emozioni avrebbero potuto cambiare tutto e non sarei più andato al Real”. Parole che rivelano quanto profondo fosse il legame con l’ambiente nerazzurro.

La scelta finale

La lealtà di Mourinho si manifestò anche nel modo in cui gestì il suo addio. “Sarebbe stato più comodo restare all’Inter”, ammette, “avrei vinto un altro scudetto facile, saremmo andati a prendere la medaglia di campioni del Mondo per club”. Ma la vera grandezza sta anche nel saper chiudere un ciclo al momento giusto, lasciando un’eredità indimenticabile.

“Facciamo storia o filosofia?”, si chiedeva Mourinho durante la storica semifinale al Camp Nou. “Facciamo la storia”, fu la risposta che diede al suo gruppo. E storia fu, non solo per i trofei conquistati, ma per aver dimostrato che nel calcio moderno c’è ancora spazio per valori come la lealtà e il rispetto della parola data.

L’era Mourinho: il Triplete che ha fatto la storia

Il biennio di Mourinho all’Inter (2008-2010) rappresenta il punto più alto della storia nerazzurra moderna. Al suo primo anno conquista subito lo Scudetto e la Supercoppa italiana, ma è nella seconda stagione che lo Special One compie il capolavoro. L’Inter 2009-2010 diventa la prima squadra italiana a conquistare il Triplete: Scudetto, Coppa Italia e Champions League.

Il percorso in Champions League resta indimenticabile. La semifinale contro il Barcellona di Guardiola, considerato imbattibile, diventa l’emblema della mentalità mouriniana. Al Camp Nou, in dieci uomini, l’Inter resiste stoicamente. “La gente era ai limiti della sofferenza”, ricorda Mourinho, “e ricordo gente come Cordoba urlare che quella era l’ultima opportunità della loro carriera”.

Mourinho ha saputo creare un gruppo granitico, dove anche i campioni in panchina erano pronti a sacrificarsi per il bene comune. La sua Inter era un mix perfetto di talento e carattere: dalla solidità difensiva di Lucio e Samuel, alla classe di Sneijder, fino alla potenza di Milito, capocannoniere e uomo dei gol decisivi.