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Pelè non è sempre stato il migliore in tutto. Nel ritiro del Brasile prima del Mondiale 1958, vennero effettuati dei test sul quoziente intellettivo e non andò tanto bene.

Aveva appena 17 anni (ne avrebbe compiuti 18 a ottobre) e arriva da una famiglia povera del Brasile, ma stava per diventare l’adolescente più famoso al mondo, almeno a livello sportivo. I Mondiali del 1958 in Svezia hanno segnato l’ascesa di Pelé, che però da un test del Q.I. risultò essere tra i meno “intelligenti” della squadra. Assieme a lui un altro che però avrebbe fatto più che discretamente con la Seleçao, e cioè Garrincha. Con entrambi in campo il Brasile non ha mai perso.

La storia del Q.I. di Pelé ai Mondiali 1958

“Molto immaturo” Pelè, “Non potrebbe guidare un autobus” Garrincha. Questi i risultati dei test fatti da uno psicologo dell’epoca ai giocatori della Seleçao prima del Mondiale in Svezia nel 1958. Per la precisione: “Pelé è un infantile, gli manca in necessario spirito alla lotta, è troppo giovane per reagire con l’adeguata aggressività, non ha senso di responsabilità necessario allo spirito di squadra, ne sconsiglio la convocazione”. Quoziente intellettivo: 68, un ritardato o quasi, secondo il test.

Anche qua, i motivi per dei test del genere sono tutti da scoprire, ma questo aneddoto rimase nella storia come dimostrazione che, insomma, il calcio è una cosa e “la vita reale” un’altra. Pelè doveva ancora compiere 18 anni, del resto, quindi non è che ci si dovesse aspettare granchè. E che in quel Mondiale non partiva nemmeno da titolare, perché il ruolo in attacco era occupato da José Altafini, ancora conosciuto come Mazola per via della sua somiglianza con Valentino Mazzola, il papà di Sandro morto nell’incidente di Superga il 4 maggio del 1949.

Ricorderà Altafini: “Siamo stati cinque mesi in ritiro in montagna, a Campos de Jordao, regione del Minas Gerais. Eravamo in trentatré, ci fecero ogni tipo di esame: vista, denti, muscoli. Io e Pelè fummo gli unici a non aver problemi odontoiatrici, molti furono operati di appendicite. Ci tormentavano con i test di intelligenza: dadi, cubi, disegni. Come fossimo dei matti. Il preparatore atletico era Amaral, un militare che poi arrivò alla Juventus”.

Pelè il mondiale della svolta

Di tutt’altro spessore il commento di Gianni Brera: “Pelè vede il gioco suo e dei compagni: lascia duettare in affondo chi assume l’iniziativa dell’attacco, scattando a fior d’erba, arriva a concludere. Mettete tutti gli assi che volete in negativo, poneteli uno su l’altro: esce una faccia nera: un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti”.

In quel Mondiale svedese O Rei, che non è ancora O Rei ma un semisconosciuto attaccante del Santos, prende il posto di Altafini alla terza partita contro l’Unione Sovietica e non ne esce più. Nel 2-0 contro l’Urss la doppietta è di Vavà, ma è anche la prima volta in cui Pelé e Garrincha giocano assieme ed è un’esibizione da circo o giù di lì.

Nelle successive tre partite arriveranno sei gol, uno più decisivo dell’altro al Galles (1-0 ai quarti), alla Francia in semifinale (tripletta) e la doppietta in finale alla Svezia, di testa e con una finezza, “sombrero” a un difensore e tiro al volo. E pensare che era un immaturo.

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