Il Palmeiras ha ipotecato la finale di Copa Libertadores, confermandosi realtà in grande crescita e con molti giovani pronti al grande salto
Un 3-0 a domicilio contro la favorita, giocando quasi dominando l’intero match senza rischiare nulla. Ovviamente, ipotecando una finale di Copa Libertadores programmata da (troppi) anni. Il Palmeiras sbriciola con una goleada il River Plate e ipoteca il passaggio all’ultimo atto di un torneo che, nel quarto verde di San Paolo, non vedono addirittura dal 1999.
Altri tempi, altra proprietà e, soprattutto, altro sponsor. Già , perché vent’anni fa in Brasile erano FIAT e Parmalat ad andar per la maggiore e, proprio a rinsaldare il legame storico che il Palmeiras ha da sempre con l’Italia, in quegli anni il rapporto raggiunse l’apice massimo. Più di quando un Marco Osio a fine carriera volò nella metropoli paulista, a metà anni Novanta, per unirsi proprio al Verdão.
Palmeiras, un club “europeo”
Il Palmeiras di oggi si è completamente distaccato da quello del passato. La compagine brasiliana, che arriva da qualche anno di assestamento, ha vinto due campionati e una Copa do Brasil nelle ultime cinque stagioni, ma in campo internazionale è sempre un po’ mancato lo spunto decisivo per tornare a recitare il ruolo da protagonisti.
Per questo, nel 2018, la società aveva richiamato al capezzale del club Felipe Scolari, capace di (ri)portare il Brasilerão in quella che è sempre stata un po’ la sua seconda casa. E, sempre per questo motivo, come suo successore venne nominato Vanderlei Luxemburgo, allenatore di fama internazionale (ricorderete la sua bypassabilissima parentesi al Real Madrid) nonché attaccatissimo al club.
Eppure nulla, perché in Libertadores il Palmeiras si è sempre fermato sul più bello. In semifinale nell’anno di Felipão, eliminato di misura dal Boca Juniors che poi andrà a perdere lo storico Superclasico a Madrid, e l’anno scorso ai quarti dopo un tiratissimo derby contro il Gremio. Mentre altri club brasiliani da tempo avevano puntato su una forte identità europea, il Palmeiras è sempre rimasto ancorato alla tradizione. Probabilmente sbagliando.
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Abel Ferreira, il rivoluzionario
Così, quando Luxemburgo ha rassegnato le dimissioni, sulla falsariga di ciò che è successo in molte altre società sudamericane, il Palmeiras ha deciso di pescare in Europa, nominando Abel Ferreira come nuovo allenatore. Il portoghese classe 1978, appena esonerato dal PAOK, ha accettato di corsa la chiamata di una realtà storica del calcio brasiliano, importando idee e metodologie affinate negli anni passati ad allenare nel settore giovanile dello Sporting Lisbona.
Un club formativo, che a distanza di molto tempo gli ha permesso – grazie a metodi di lavoro mirati – di inserirsi molto bene in una realtà che deve un po’ incastrarsi nell’incertezza generale del calcio latinoamericano. Mixare giovani di valorizzare e vecchi mestieranti non è semplice, ma Abel Ferreira – quasi 2,5 punti di media nelle prime 18 partite in panchina – ha trovato la chiave giusta, lavorando sulla testa del gruppo e convincendo i suoi calciatori di poter raggiungere grandi traguardi.
Tatticamente, il portoghese ha sperimentato parecchio, puntando su diversi sistemi di gioco. Ha cominciato con il 4-2-3-1, poi diventato 3-4-2-1 e in seguito 4-3-3. Contro il Boca Juniors, invece, si è visto una sorta di 3-4-3 molto fluido, nel quale il ruolo di Gabriel Menino permetteva al Palmeiras di difendere a quattro e attaccare simultaneamente con più uomini.
Una miniera di talento
Se da una parte gente come Felipe Melo, Luiz Adriano, Weverton e Gustavo Gomez rappresentano i pilastri sui quali si poggia il Palmeiras attuale, dall’altra non si può non notare la clamorosa quantità di talento uscita dal vivaio. Senza citare Rony – 7 gol in 9 partite di Libertadores per la punta classe 1995 – e il funambolico Gustavo Scarpa, ci sono almeno quattro gioiellini che a breve si trasformeranno in plusvalenze.
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Gabriel Menino è quello che promette di più: classe 2000, già nel giro della nazionale di Tite, in Brasile ne parlano come l’erede di Casemiro al Real Madrid. In realtà lui preferisce giocare più decentrato verso destra, ma il materiale è di qualità . In mezzo al campo, invece, si muovono Patrick De Paula (1999) e Danilo (2001), giovani che si muovono da veterani. Infine Gabriel Veron, il più giovane del lotto, un classe 2002 che di mestiere fa l’esterno destro e ha già illuminato il mondo grazie alla vetrina under 17.
Insomma, il presente del Palmeiras sembra roseo nonostante i conti del club non siano particolarmente sani – la società si è indebitata con le banche per ultimare l’Allianz Parque, sorto sulla base dello storico Palestra Italia -, mentre la voglia di fare calcio è sempre rimasta intatta. Con una finale nel mirino, il Verdão ha finalmente l’occasione di rivivere i fasti del passato.
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