Il 5 novembre 1952 nasceva Oleh Blochin, fuoriclasse sovietico e primo ucraino a vincere il Pallone d’Oro, stella della grande Dinamo Kiev di Lobanovskyi. Ecco la sua storia.
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C’era una volta la cortina di ferro, oltre la quale si estendeva un mondo misterioso, affascinante e inquietante al tempo stesso. L’Unione Sovietica ci ha sempre tenuto ad alimentare questa mitologia, che passava anche dal calcio: i campioni dell’Est erano calciatori iconici di cui si poteva avere notizia solo grazie alle coppe internazionali.
Se ci fu una squadra che più di tutte incarnò quel sentimento, questa fu la Dinamo Kiev di Lobanovski; e se ci fu un calciatore che più di tutti rappresentava i ragazzi terribili del Colonnello, fu senz’altro Oleh Blochin.
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Un atleta prestato al calcio
Oggi appare abbastanza logico pensare che la forza della nazionale sovietica fosse dovuta alla scuola ucraina, visto gli equilibri calcistici post-caduta del Muro. Ma in realtà , fino all’affermazione di Blochin il calcio sovietico era decisamente più russo che ucraino: i campioni erano Igor Netto, Aleksandr Ivanov, Lev Yashin, mentre l’unico ucraino di rilievo durante la prima epoca d’oro del calcio sovietico, negli anni Sessanta, fu Viktor Serebrjanykov.
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Fu Valeriy Lobanovskyi a cambiare le cose, quando nel 1973 divenne allenatore della Dinamo Kiev e iniziò a rivoluzionare il calcio sovietico con un gioco moderno che esaltava i suoi interpreti offensivi, tra cui su tutti Oleh Blochin, che aveva solo 21 anni ma era già una delle principali promesse del calcio locale.
Figlio di un russo e di un’ucraina, Blochin era nato a cresciuto a Kiev, e fin da giovanissimo era stato avviato all’atletica, specializzandosi nella corsa sulle brevi distanze, disciplina praticata in gioventù da entrambi i genitori. Grazie a quel tipo di allenamento, sviluppò un’incredibile velocità , molto superiore agli standard del calcio dell’epoca, oltre a un innato atletismo, che lo rendeva il giocatore non-olandese più vicino allo stile del calcio totale.
Il duo Blochin-Lobanovskyi
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Ma Blochin non era solo un grande atleta: la sua bravura nei passaggi era fuori dal comune, e possedeva un mancino potente e preciso che gli consentiva di andare spesso al tiro e trovare la porta. Era il giocatore perfetto per il tipo di calcio di Lobanovskyi: partendo dall’ala sinistra, diventava un punto di riferimento per tutto il fronte offensivo, giocando da attaccante completo sotto tutti i punti di vista.
Blochin e Lobanovskyi furono i due perni dei successi della Dinamo Kiev degli anni Settanta e Ottanta, che divenne dominatrice del campionato sovietico (con Blochin cinque volte capocannoniere) e si affermò come il primo club sovietico a competere ad alti livelli in Europa, arrivando a vincere la Coppa delle Coppe del 1975, in cui ovviamente segnò una rete in finale al Ferencvaros.
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Ancora più celebre e significativa, però, fu la successiva partita valevole per la Supercoppa europea contro il fortissimo Bayern Monaco, in cui Blochin fece impazzire Beckenbauer – vale a dire, il miglior difensore del mondo – con dribbling ubricanti e giocate sensazionali. La Dinamon Kiev s’impose sui tedeschi proprio con una sua rete, sconfiggendo così lo squadrone che da due anni monopolizzava la Coppa dei Campioni. Al termine dell’anno solare, Blochin fu premiato con un meritatissimo Pallone d’Oro.
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Siccome a quei tempi era impensabile per un giocatore sovietico trasferirsi in un altro paese, a meno di fuggire clandestinamente, Blochin trascorse praticamente tutta la sua carriera a Kiev. Col passare degli anni, pur perdendo rapidità restò un attaccante di livello assoluto, accentrandosi fino a diventare un raffinato attaccante di manovra. Nel 1986, a 34 anni, trascinò ancora una volta la squadra di Lobanovskyi a vincere la Coppa delle Coppe, superando l’Atletico Madrid: schierato assieme a Belanov e Zavarov, segnò ancora un gol in finale, e fu premiato come capocannoniere del torneo.
Lasciò la Dinamo Kiev nel 1988, e lo fece in maniera clamorosa: in piena Perestrojka, Blochin fu uno dei primissimi calciatori sovietici a lasciare l’Est per l’Ovest. Poco importa che la sua destinazione fu il modesto Vorwarts Steyr, in Austria, perché lì, nonostante l’età , seppe lasciare un bel segno. Sicuramente migliore di quello che lasciarono Belanov e Zavarov, arrivati con molte aspettative al Borussia Monchengladbach e alla Juventus, deludendo su tutta la linea.
Nel 1989 andò a chiudere la carriera a Cipro con l’Aris Limassol e poi, dopo la dissoluzione dell’URSS, optò per la cittadinanza ucraina e divenne allenatore. Lavorò a lungo in Grecia, lontano dai riflettori, fino a che nel 2003 non si sedette sulla panchina dell’Ucraina: il rapporto tra lui e la stella Shevchenko fu un po’ come quello tra lo stesso Blochin e il suo maestro Lobanovskyi (che poi era stato maestro anche di Sheva), e condusse la Nazionale alla prima storica qualificazione ai Mondiali, nel 2006. Non c’è successo dell’Ucraina che non abbia la firma di Oleh Blochin.
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