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Il 25 ottobre 1969 nasceva Oleg Salenko, capocannoniere russo di USA ’94 e per molti l’ultimo calciatore “sovietico” della storia. Scopriamolo insieme.

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16′, rasoiata sotto le gambe del portiere, post-pasticcio difensivo. 41′, solo davanti al portiere, con difesa addormentata. 45′, rigore basso e radente all’angolino destro. 73′, bomba all’angolo alto, su cross basso dalla destra. 75′, defilato sulla destra, infilatosi alle spalle dei difensori, battendo il portiere in uscita. Cinque, tutti di destro, tutti in una partita, tutti di Oleg Salenko.

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Sono le cinque perle che il 9 russo rifila al Camerun, utili solo a vincere la classifica cannonieri di USA ’94 (c’era stato anche il rigore segnato alla Svezia), visto che la Russia ha perso le prime due del girone e quindi è già eliminata. Un piccolo strano record, nella partita dell’altro record, quello del gol del 42enne Roger Milla, e resterà il momento più alto della carriera di Salenko.

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L’ultimo sovietico

Per la Russia, il 1994 è un Mondiale di transizione, più strano che per qualunque altra nazionale. Pochi anni prima, il comunismo è crollato assieme al Muro di Berlino, e il mondo è stato rivoltato come un calzino. Leningrado, dove è nato Salenko, torna a chiamarsi San Pietroburgo, ma lo Zenit, dove ha tirato i primi calci al pallone, continua a chiamarsi Zenit.

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La fine della guerra fredda porta con sé l’apertura al mercato libero e al mondo occidentale, i club dell’Ovest si gettano sui talenti sovietici che a lungo hanno potuto solo osservare da lontano, dall’altro lato della cortina di ferro. Salenko, che ora gioca nella Dinamo Kiev, non è certo uno dei pezzi pregiati, come sono Kanchelskis e Mostovoj, ma trova comunque un ingaggio nel piccolo CD Logroñés, che conduce alla salvezza con un discreto apporto offensivo.

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L’impresa al Mondiale americano sembra destinata a far svoltare la sua carriera e farlo entrare tra i grandi nomi del calcio europeo, e così passa al più blasonato Valencia: in panchina si è appena seduto Carlos Alberto Parreira, allenatore del Brasile fresco campione del mondo; in porta c’è il veterano Zubizarreta, a centrocampo la promessa Mendieta, e in attacco Salenko potrà firmare un mitico tridente dell’Est con Mijatovic e Penev.

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Il carattere difficile di Salenko

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La sua esperienza valenciana, però, si complica subito. Salenko non si ambienta e non lega molto con Parreira, le sue prestazioni in campo sono opache, e fuori ci sono anche dei litigi. Non è un tipo facile, Salenko: da ragazzo, in Unione Sovietica è stato arrestato due volte per rissa; il suo carattere forte lo ha fatto emergere rapidamente, ma gli ha spesso causato problemi.

Lui non lo vuole ammettere, ma probabilmente questa è la vera causa della sua esclusione dalla Nazionale dopo USA ’94; negli anni a venire, Salenko sosterrà invece la tesi che il nuovo ct Romantsev lo avrebbe tenuto fuori perché invidioso della sua popolarità.

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I guai lo seguono come fantasmi in una terra di fantasmi, la Scozia, dove gioca nel 1995 per soli sei mesi con i Rangers. Squadra mica male: Mikhailichenko, Gascoigne, Brian Laudrup. Le ambizioni ci sono, ma Salenko delude, entra in rotta con i tifosi e se ne va, stavolta in una neopromossa turca, l’Istanbulspor.

L’infortunio e il ritiro

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Stavolta le cose girano per il verso giusto, Salenko segna e torna a divertirsi col calcio; poco importa se il livello è più basso e i sogni di grandezza, a 27 anni, si stanno ormai eclissando. L’infortunio al ginocchio arriva a dargli il colpo di grazia, nella primavera del 1997: da qui in avanti, il russo non riesce più a recuperare, si opera più volte, e nel frattempo smarrisce la condizione atletica. Torna in Spagna, al Cordoba, e poi va in Polonia, ma non gioca praticamente mai, e nel 2001 annuncia il ritiro.

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Oggi ce lo si ricorda quasi solo per quelle cinque reti al Camerun nell’estate del 1994. Quando ne parla, Oleg Salenko confessa gli unici scorci di modestia del suo carattere: dice che solo anni dopo realizzò di aver stabilito un record, e chiarisce sempre che, più che merito suo, fu demerito del Camerun, che dopo lo svantaggio si riversò all’attacco lasciandogli campo aperto. Un attaccante divenuto bomber all’improvviso, un po’ per caso.

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