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Focus sul momento del Napoli: la squadra azzurra, reduce dal ko col Milan, non convince. E Gattuso attacca indirettamente i suoi giocatori

Prima li difende, poi lo attacca. Lo fa con astuzia, tutela tutti, non emergono nomi, ma il concetto è chiaro: il Napoli non è una squadra. Non ancora. Rino Gattuso è molto sereno nell’esporre la lunga serie di problemi che stanno condizionando questo campionato, ma la lucidità spaventa perché significa che il Napoli è recidivo. I limiti sono emersi anche contro il Milan. Sentite Gattuso: “Commettiamo sempre gli stessi errori quando arrivano partite importanti. Il problema è mentale e mi assumo tutte le responsabilità”.

Cosa significano queste parole? Cosa intende, Gattuso, quando specifica che certi difetti sono più evidenti negli scontri diretti? Parla di personalità, di singoli, di leadership? Il suo Napoli non gioca male ed è in piena corsa per la Champions, ma le tre sconfitte consecutive al San Paolo (Az, Sassuolo, Milan) accendono una spia che merita attenzioni.

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Gattuso e il problema mentale: dove sono i leader?

L’allenatore del Napoli ce l’ha coi suoi, con qualcuno in particolare, dice: “Non bisogna fare i professori. Si sta pensando all’io e non al noi”. Con chi ce l’ha? Con tutti, con qualcuno in particolare? Non lo dice, non potrebbe, ma conferma che all’interno dello spogliatoio non regna solo l’armonia. D’altronde, è pur sempre la stessa rosa protagonista dell’ammutinamento di un anno fa.

Il Napoli ha un organico forte, di valore, ma mancano dei leader, dei riferimenti ai quali aggrapparsi. Le perdite di Reina, Hamsik e Albiol non sono state colmate. Chi è rimasto, ha talento e qualità ma, forse, pecca in personalità. Oltre a Insigne, il capitano, il Napoli su chi può contare? Dentro e fuori dal campo. Chi alza la voce, chi richiama chi sbaglia? Vale anche nelle partite: Valeri, col Milan, ha commesso diversi errori. Pochi calciatori gliel’hanno fatto capire. Timide proteste. Sono dettagli che pesano.

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Il modulo non convince: senza Osimhen si torna al passato

Gattuso ha puntato, quest’anno, sul 4-2-3-1 grazie all’acquisto di Osimhen che offre alla squadra quella profondità che prima mancava. Ma quando il nigeriano manca, come col Milan, la squadra – modulo a parte – torna all’antico, ripropone i vecchi limiti del passato: palleggio sterile senza sbocchi e poca fantasia a centrocampo. Fabian non brilla. Lo fa in Nazionale, in un contesto in cui c’è abbondanza di talento, ma a Napoli è lento, macchinoso, poche volte decisivo.

Il migliore, fino a questo momento, è stato Bakayoko. Rosso a parte, sa cosa deve fare e ha qualità per mettersi in mostra. Il Napoli paga l’assenza di Zielinski (il Covid lo ha condizionato) e Gattuso non è ancora riuscito a valorizzare Elmas, un talento che vive di panchine e qualche chance. Ci sarebbero anche Demme e Lobotka: l’organico è profondo ma questo modulo penalizza proprio i centrocampisti ‘di ruolo’ come i due play acquistati a gennaio.

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L’attacco non punge: spettacolo solo con Genoa e Atalanta

Nel Napoli latita lo spettacolo: quattro attaccanti presuppongono show, invece il Napoli ha vinto a fatica con Bologna e Benevento e perso con Sassuolo e Milan. Escluse le goleade a Genoa e Atalanta, 10 gol complessivi, il Napoli ha segnato appena 6 reti in 6 partite. Sono poche per una squadra che vanta in rosa Mertens, Petagna, Osimhen, Lozano, Politano, Insigne.

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A proposito: il capitano, visibilmente stanco col Milan, si è acceso con l’Italia grazie ad un sistema di gioco che ne esalta le qualità. La Nazionale di Mancini ricorda il Napoli di Sarri: si nutre di palleggio, è corta, compatta, gioca a due tocchi. Il Napoli di Gattuso no: vive di profondità, individualità, ci sono metri di campo da poter percorrere in avanti. Tanti problemi, poco tempo a disposizione: la stagione sta già entrando nel vivo.

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