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Il 13 luglio del 1930 cominciano i Mondiali 1930, un evento destinato a cambiare per sempre la storia del calcio. Si tratta di un torneo che passerà per sempre alla storia e che come tutti i campionati del mondo consegna agli appassionati un numero infinito di aneddoti. Eccone alcuni per voi.

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Le quattro stelle dell’imbattibile Uruguay

L’Uruguay sfoggia sulle proprie maglie quattro stelle in apparente contraddizione con il regolamento FIFA che permette a ogni Paese di inserirne una per ogni Mondiale vinto: il motivo risiede nel riconoscimento da parte del massimo organismo che governa il calcio a livello mondiale dei titoli olimpici vinti nel 1924 e nel 1928, considerati a tutti gli effetti veri e propri precursori del campionato del mondo.

Il titolo conquistato nel 1930 è dunque il terzo successo, a cui segue il quarto che arriva nel 1950 nel famoso Maracanazo: durante questo lungo periodo la Celeste non partecipa alle edizioni del 1934 – di fatto non difendendo il titolo – e del 1938. L’Uruguay registra così la prima sconfitta ai Mondiali il 30 giugno del 1954, semifinale dei Mondiali di Svizzera, quando cade contro la Grande Ungheria di Puskas: viene così interrotta una striscia di 12 risultati utili consecutivi e durata, comprese le due defezioni e la guerra, quasi un quarto di secolo.

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Mondiali 1930, il primo gol è di Lucien Laurent

A oggi sono nelle fasi finali dei Mondiali di calcio sono state messe a segno la bellezza di 2546 reti: la prima viene realizzata il 13 luglio del 1930 nella partita inaugurale, Francia-Messico, da Lucien Laurent, operaio della Peugeot che al 19° supera il portiere centro-americano Oscar Bonfiglio con un bel tiro al volo.

Attaccante del Sochaux, nella successiva sfida contro l’Argentina Laurent, individuato come il pericolo numero dell’attacco transalpino, viene costretto a lasciare il campo dopo un rude intervento del mediano argentino Luis Monti: l’infortunio lo costringe a saltare anche la terza e ultima gara della Francia, che viene eliminata proprio dall’Albiceleste.

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“Uno dei miei compagni crossò il pallone e io ne seguii con attenzione il movimento, colpendolo al volo di destro. Fummo tutti contenti, ma non esultammo – nessuno comprese che eravamo passati alla storia. Una veloce stretta di mano e proseguimmo l’incontro. Non ci fu neanche dato un compenso: all’epoca eravamo dilettanti a tutti gli effetti.”

A fine carriera Laurent si trasferirà a Besançon, dove dopo il ritiro apre una birreria prima di ritirarsi a vita privata: scompare nel 2005, 97enne, dopo aver visto la Francia trionfare ai Mondiali del 1998.

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Villaplane, il capitano traditore

Durante i Mondiali 1930 il capitano della Francia è il centrocampista del Racing Club Alexandre Villaplane: nato ad Algeri, ha 25 anni ed è un vero leader dentro e fuori dal campo, un talento unico che nasconde un carattere oscuro che emergerà durante la seconda guerra mondiale.

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Innamorato della bella vita e dei soldi facili, finisce in carcere a causa di una serie di scommesse clandestine e numerose altre attività legate alla malavita: quando i nazisti conquistano Parigi viene liberato e si mette al servizio della Gestapo, nome in codice SS Maometto, diventando presto un leader delle cosiddette “brigate nordafricane”.

Divenuto cacciatore di ebrei e partigiani per conto di Hitler, dopo essersi sporcato le mani del sangue di numerosi connazionali verrà infine catturato durante la liberazione della città: il processo per alto tradimento si conclude con la condanna a morte, che viene eseguita mediante fucilazione il 26 dicembre del 1944 ad Arcueil.

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Luis Monti e un record insuperabile

Ai Mondiali del 1930 brillano tante stelle, e una delle più sfolgoranti è quella dell’argentino Luis Monti: centromediano carismatico e irruento, capace con le buone e soprattutto con le cattive di annullare puntualmente il centravanti avversario, risulta abile anche nel costruire il gioco e andare a segno grazie al gran tiro dalla distanza di cui è in possesso.

Trascinatore dell’Albiceleste durante tutta la rassegna iridata, non si esprime al meglio nel giorno della finalissima: pare che la notte precedente sia stato raggiunto da numerose quanto concrete minacce di morte da parte dei tifosi uruguaiani, che non sopportano il suo gioco violento e intimidatorio.

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Ai successivi Mondiali del 1934 indossa la maglia dell’Italia: si è infatti trasferito nel 1931 alla Juventus, e grazie agli avi italiani può giocare con gli azzurri come oriundo. Sarà il perno della squadra capace di alzare al cielo la coppa, conquistando un record insuperabile: nessuno infatti potrà mai più disputare due finali ai Mondiali con la maglia di due Paesi diversi.

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Mondiali 1930, arbitri e controversie

Nelle 18 gare giocate la FIFA tra arbitri e guardalinee utilizza 15 elementi, per la maggior parte sudamericani: a loro si aggiungono gli europei Constantin Rădulescu (che è anche il ct della Romania), Georges Balvay, Henri Cristophe e Jan Langenus.

Quest’ultimo viene personalmente scelto da Jules Rimet per dirigere la finalissima tra Uruguay e Argentina: la sua alta statura gli permette infatti di incutere il necessario timore ai giocatori in una partita sentitissima che per giunta va in scena davanti a quasi 100mila tifosi.

Per dirigere la gara Langenus pretende un’assicurazione sulla vita e un taxi che immediatamente dopo il fischio finale lo porterà a un piroscafo pronto a salpare subito alla volta dell’Europa: precauzioni più che necessarie – scrive comunque il proprio testamento – visto che al suo ingresso allo stadio viene momentaneamente arrestato dalle forze dell’ordine, che già hanno dovuto fermare ben 13 individui che cercavano di spacciarsi per lui, e confiscato numerose armi che altrimenti sarebbero state portate in tribuna.

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Altri due arbitri vengono ricordati, anche se a differenza del belga Langenus in modo controverso: il brasiliano Almeida Rego, che prima fischia in anticipo la fine di Argentina-Francia con gli europei lanciati verso il gol del pari e poi viene criticato dalla Yugoslavia per una direzione a dir poco casalinga nella semifinale persa 6-1 contro l’Uruguay, e il boliviano Ulises Saucedo. Quest’ultimo, contemporaneamente ct per il suo Paese, in Argentina-Messico concede tre generosi calci di rigore e li fa tirare da distanze sempre diverse, misurando (male) la distanza in passi.

Mondiali 1930

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Castro e Peregrino Anselmo

Se prima della finalissima lo spogliatoio argentino vede Luis Monti intimorito dalle minacce anonime ricevute nelle ore precedenti la gara, anche quello uruguaiano deve affrontare un problema di non poco conto: lo splendido attaccante Juan Peregrino Anselmo, autore di 3 gol nel cammino verso l’ultimo atto, si chiama fuori all’ultimo momento per un improvviso attacco di panico.

Viene così sostituito da Hector Castro, bomber del Nacional di Montevideo che si distingue per un curioso particolare: a 13 anni ha perso la mano destra a causa di un incidente sul lavoro mentre maneggiava una motosega, ma questo non gli ha impedito di imporsi come uno dei più forti attaccanti di quella che può essere definita come una vera e propria “generazione d’oro”.

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Senza il minimo timore Castro – soprannominato El divino Manco, il “monco divino” – scende in campo e segna il gol che chiude la partita sul 4-2 per l’Uruguay, entrando così definitivamente nella storia del calcio.

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La finale dei due palloni

La finale dei Mondiali del 1930 viene ricordata anche per un altro curioso particolare: poco prima del fischio d’inizio l’arbitro Langenus è chiamato a decidere quale pallone sarà utilizzato nel corso dei 90 minuti. Si tratta di una questione non di poco conto, dato che tanto gli uruguaiani quanto gli argentini insistono per utilizzare il proprio.

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Salomonicamente Langenus stabilirà che nel primo tempo sarà utilizzato il pallone portato dall’Argentina e nel secondo quello dell’Uruguay. Curiosamente l’andamento delle due frazioni di gioco seguirà questa scelta, con l’Albiceleste che va all’intervallo in vantaggio e poi viene rimontata e sconfitta nella seconda frazione di gioco dalla Celeste.

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L’ultimo sopravvissuto: Francisco Varallo

Fu Pancho Varallo. Era storia vivente, e ora sarà leggenda.

Così il quotidiano argentino Crónica saluterà all’indomani della sua scomparsa, avvenuta il 30 agosto del 2010 a 100 anni di età, Francisco Varallo, il più giovane calciatore presente ai Mondiali del 1930 in Uruguay e l’ultimo sopravvissuto di quella storica edizione.

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Centrocampista offensivo di enormi qualità tecniche, autore durante la rassegna iridata di numerose giocate spettacolari e capaci di lasciare il pubblico a bocca aperta, l’anno successivo alla manifestazione Varallo si trasferirà al Boca Juniors diventando una vera e propria leggenda del calcio argentino.

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Gli stadi del Mondiale

I Mondiali del 1930 vanno in scena in Uruguay, più precisamente nella capitale Montevideo, e in soli tre stadi: con il Centenario che ancora deve ultimare i lavori la prima gara viene giocata al piccolo Pocitos, casa del Peñarol e capace di contenere appena 10mila spettatori.

Oggi questo storico impianto non esiste più, anche se l’Uruguay ha ricordato con due monumenti ancora visibili in città il punto in cui fu battuto il calcio d’inizio di Francia-Messico e quello in cui fu segnata la rete di Lucien Laurent, la prima nella storia della manifestazione.

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Altro stadio storico che ospitò alcune gare fu il Gran Parque Central: nato nel 1900 e ancora oggi utilizzato dal Nacional di Montevideo, nel 1918 era stato il teatro del suicidio in campo del capitano dei Tricolores Abdon Porte e nel 1920 di un altro evento di sangue, un duello tra i due leader politici José Batlle y Ordóñez e Washington Beltrán Barbat che si era concluso con la morte di quest’ultimo.

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Teatro principale sarà comunque il Centenario, che trae il proprio nome dai 100 anni che nel 1930 segnano l’indipendenza dell’Uruguay e costruito in meno di un anno, con un grande dispendio economico e tra mille difficoltà, dall’architetto Juan Antonio Scasso. Il primo gol segnato in questo mastodontico impianto porta la firma di Hector Castro, che decide Uruguay-Perù 1-0.

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El Filtrador Stabile, il primo Re del gol

Il capocannoniere della prima edizione dei Mondiali è l’argentino Guillermo Stabile, detto El Filtrador per la capacità di inserirsi tra i difensori avversari. Promosso titolare nella seconda gara – sostituisce Roberto Cherro, che pare vittima di un attacco d’ansia – segna subito una tripletta per poi ripetersi con due doppiette contro Cile e Stati Uniti e con un gol nella finale persa contro l’Uruguay: sono in totale 8 gol in 4 gare.

Dopo il Mondiale viene ingaggiato dal Genoa e si presenta, seppur stanco dopo il lungo viaggio, con una tripletta al Bologna. È un fuoriclasse, ma una serie di infortuni segneranno il resto della sua carriera impedendogli di esprimersi al meglio nella Serie A italiana.

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Tornato in patria guiderà l’Argentina come ct per 127 partite tra il 1939 e il 1960, conquistando in questo periodo di tempo la Coppa America per ben 6 volte.

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La maravilla negra, José Andrade

Per quasi tutti i presenti il miglior calciatore dei Mondiali del 1930 è l’uruguaiano José Leandro Andrade, tra le prime stelle di colore nella storia del calcio e capace di interpretare il ruolo di mediano destro a tutto campo. Forte sull’uomo, inarrestabile mentre scende palla al piede lungo la fascia, è figlio di uno stregone di origine africana che pare lo abbia concepito a 90 anni di età, da ragazzino era un lustrascarpe, ama la musica e la danza ed è atleticamente straripante.

Il meglio per molti esperti lo ha già dato, più precisamente durante le Olimpiadi del 1924 a Parigi (dove ha scoperto i piaceri della vita notturna e pare abbia corteggiato anche la nota cantante creola Josephine Baker) e in quelle del 1928 ad Amsterdam. In quest’ultima occasione, per salvare un gol contro l’Italia, è andato a sbattere malamente contro il palo, un infortunio che condizionerà il resto della sua vita.

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Dopo la gloria del primo titolo mondiale, infatti, Andrade inizia una fase discendente che pare legata a un contemporaneo calo della vista, conseguenza dell’episodio avvenuto ad Amsterdam. Dopo aver sperperato i tanti soldi guadagnati finirà i suoi giorni in un ospizio, parzialmente cieco e afflitto dalla tubercolosi, l’unica ricchezza le medaglie vinte da calciatore e conservate in una vecchia scatola per scarpe.

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