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Marcelino è sulla panchina dell’Athletic Bilbao da appena due partite, e stasera con la terza può già vincere un titolo. Un allenatore fulminante, specializzatosi nel sistemare situazioni critiche.

Pulp Fiction, 1994: c’è un personaggio che calamita subito l’attenzione, e si chiama Mr. Wolf. Ha due caratteristiche essenziali: resta in scena pochissimi minuti, ma in quel poco tempo risolve problemi. Non importa quanto gravi siano, lui li risolve, e in fretta. In spagnolo, Mr Wolf si direbbe “Señor Lobo”, secondo i dizionari; ma chi la lingua la impara guardando le partite di calcio, sa che la traduzione più correta è “Marcelino Garcia Toral”.

Lo dice il suo curriculum, ma se la storia contemporanea non è la vostra materia forte vi basta guardare alla sua ultima partita in panchina: Real Madrid-Athletic Bilbao 1-2. Si tratta solamente del suo secondo match nei Paesi Baschi, dov’è arrivato giusto il 4 gennaio: all’esordio ha perso di misura col Barcellona, poi un match rimandato causa neve con l’Atletico, e adesso si gioca la Supercoppa di nuovo contro i blaugrana di Koeman.

Marcelino, l’aggiustatutto

Come il tarantiniano Mr. Wolf, Marcelino è uno che sta in scena poco, ma risolve problemi. Li ha risolti a Huelva, dov’è arrivato nel 2005, subito una promozione in Liga e l’hanno dopo è stato eletto miglior allenatore di Spagna. Poi a Santader, in un club abituato ai bassifondi del campionato: sesto posto alla prima stagione, miglior risultato dal 1936, prima qualificazione europea della storia del Racing e prima semifinale di Copa del Rey.

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Fonte Immagine: @442futco (Instagram)

Ma l’Europa, Marcelino, non l’ha vista: a sorpresa ha scelto di scendere di categoria, trasferendosi al disastrato Real Zaragoza neo-retrocesso, e con cui ha immediatamente rinquistato la prima serie. Poi ancora Santander, Siviglia, e nel 2013 l’approdo al Villarreal, tornato in Liga dopo un improvviso declino: tre stagioni, due sesti posti e un quarto, un ottavo di finale e una semifinale di Europa League, più una qualificazione alla Champions League.

La rottura improvvisa lo ha portato a Valencia, in un club dalle grandi ambizioni ma che è da tempo tra i peggio gestiti al mondo. Al momento dell’arrivo di Marcelino al Mestalla, i Murcielagos venivano da due dodicesimi posti in Liga; alla prima stagione col nuovo allenatore, è arrivato il quarto posto, bissato l’anno successivo con il contorno di una semifinale di Europa League e della conquista della Copa del Rey, e alla terza annata un ottavo di Champions League che mancava dal 2013.

Poi, un’altra scornata con la dirigenza, e di nuovo a piede libero. In quasi 24 anni di carriera, Marcelino non è mai rimasto più di tre stagioni nella stessa società, ma al suo posto ha lasciato dei risultati straordinari.

Hombre vertical, juego vertical

Marcelino non si è fatto solo la fama di allenatore che risolve problemi, ma anche di un personaggio con idee precise e che è disposto a sacrificare tutto per difenderle. Se non è mai arrivato ad allenare uno dei top club spagnoli o europei è principalmente perché tutti sanno che è un uomo che non scende a compromessi.

https://www.youtube.com/watch?v=uz3bHETquUI

I suoi aforismi sulla tattica fanno venire l’acquolina in bocca ai giornalisti spagnoli da anni. Ama scagliare frasi taglienti, descrive la sua idea di calcio in maniera netta e manichea: detesta i trequartisti, “non è un centrocampista e non è una punta”, e infatti in campo o si schiera con un 4-4-2 che tanti ormai pensano fuori moda, oppure con il 4-1-4-1, come visto contro il Real.

Il suo mantra è che i successi si costruiscono dalla difesa, un’ideologia che in Spagna è al limite dall’eresia. Così, negli anni, la stampa lo ha etichettato come un anti-Guardiola – “Non mi piacciono le squadre che fanno l’80% di possesso palla e creano appena tre occasioni da gol” – ma senza essere in linea con il calcio che si vede a Madrid, Barcellona o Siviglia, Marcelino non sta neanche nella stessa scia del calcio fisico di Simeone e Bordalas. Vuole intensità, ma anche tecnica, passaggi e verticalità: più che a Guardiola, guarda a Klopp, che infatti il suo Liverpool lo ha edificato su Alisson e Van Dijk.

La firma di Marcelino a Bilbao

L’Athletic Bilbao è sempre una scelta affascinante e difficile al tempo stesso. Affascinante per la fama, per la politica societaria, per il clima che circonda gli Zurigorriak; difficile perché vuol dire fare un mercato limitato ai calciatori baschi (quelli economicamente accessibili: niente Kepa, niente Oyarzabal o Mikel Merino), e per un allenatore che a Villarreal e Valencia ha rotto proprio per i vincoli sul mercato non è poco.

Ma pochi allenatori sembrano più adatti di Marcelino a questa squadra. Innanzitutto per il carisma e la solida filosofia di gioco, due caratteristiche a cui i tifosi tengono particolarmente (Bielsa qui è ancora un mito, per capirci). Secondariamente, perché l’eterna promessa Iñaki Williams, che pareva tanto fuori posto nella manovra offensiva di Garitano, è una punta rapida e tecnica fatta su un misura per il gioco in profondità dell’asturiano. La prima domanda che gli hanno fatto è stata sul ruolo di Williams, se lo si vedrà anche da esterno, e Marcelino ha risposto che per lui il 9 basco è una punta centrale.

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Fonte Immagine: @williaaaams11 (Instagram)

La rosa, che negli ultimi mesi è stata spesso messa sotto accusa, presenta alcuni elementi con cui il nuovo allenatore potrebbe andare a nozze. Ander Capa e Yuri Berchiche sono terzini a tutta fascia, con le abilità adatte a coprire il campo con le sovrapposizioni. Così come un talento mai del tutto sbocciato come Iker Muniain può diventare preziosissimo a centrocampo, giocando da regista largo a sinistra e spostando il baricento strategico della squadra.

Tutte cose che si sono viste già all’esordio contro il Barcellona, confermando la fama di tecnico “a presa rapida” di Marcelino, e ribadite con maggiore convinzione giovedì contro il Real Madrid. E poi ci sono i giovani, ciò su cui si fonda tutta l’essenza dell’Athletic Bilbao: Garitano non riusciva a valorizzarli, mentre l’asturiano – l’uomo che ha lanciato Bailly, Rodri, Castillejo, Ferran Torres, Gayà e Soler – ha già imposto Unai Vencedor come uno degli imprescindibili della squadra, e si attende di vedere cosa farà col gioiellino Oihan Sancet.

Insomma, se il nuovo allenatore doveva innanzitutto portare entusiasmo in società e ricucire lo strappo psicologico, prima che tecnico, coi rivali della Real Sociedad, il percorso sembra già ben avviato. Stasera, nella finale della Supercoppa, tenterà la conquista del primo titolo, che a Bilbao non si vede dal 2016. Poi, il 4 aprile, si disputerà finalmente la grande finale tutta basca della Coppa di Spagna 2019-20.

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