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Maldini lascia il Milan, dopo la rottura con Gerry Cardinale, Le prospettive dei rossoneri, dalle prime parole del proprietario, non sembrano rassicuranti.

È ufficiale: Paolo Maldini non lavorerà più per il Milan. L’uomo che, assieme a Frederic Massara, è stato l’arteficie dello scudetto del 2022 e della generale rinascita del Milan degli ultimi tempi, ha rotto con il proprietario Gerry Cardinale, che intende seguire una nuova strada manageriale. I motivi non sono un segreto: Maldini chiedeva maggiori fondi per il mercato, così da rafforzare ulteriormente la rosa, e Cardinale non ha voluto concederli.

Nulla di nuovo, in verità. Già con l’arrivo in società del fondo RedBird, un anno fa, si erano verificate delle frizioni. Innanzitutto, i rallentamenti nel rinnovo di contratto proprio di Maldini e Massara, che avevano avuto come conseguenza diretta di farsi soffiare due rinforzi che parevano già assicurati, ovvero Botman e Renato Sanches. Poi, sicuramente il grosso investimento fatto per De Ketelaere, tutt’altro che convincente in questa stagione, non ha semplificato le cose. E a gennaio si era arrivati quasi a una rottura, quando Cardinale non voleva aumentare i fondi a disposizione per acquistare Zaniolo dalla Roma.

L’addio, a questo punto, non poteva che essere la prossima logica mossa del rapporto tra la proprietà rossonera e i suoi più importanti dirigenti. Ma la differenza di vedute, in questo caso, non è solamente strategica, ma proprio sul funzionamento basilare di come si gestisce un club di calcio. Qualcosa che Maldini sembra conoscere molto bene, mentre Cardinale purtroppo no. E il piano di quest’ultimo per ristrutturare la dirigenza sportiva del Milan pare confermarlo.

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Cardinale mette alla porta Maldini per un progetto destinato a fallire

Paolo Maldini aveva un’idea semplice: per costruire una squadra vincente, cioè capace di vincere e competere sul lungo periodo, e non solo occasionalmente, ci vogliono soldi e competenze. I primi ce li deve mettere la società, investendo ora per ottenere un ritorno domani; i secondi ce li mettono i dirigenti come lui e Massara, con la loro esperienza e con la loro conoscenza del gioco. Ma Gerry Cardinale, uomo di finanza e non di sport, le cose stanno diversamente.

Il proprietario del Milan vuole investimenti minimi e ritorno nel breve termine. Vuole sostituire la competenza dei suoi esperti di calcio con l’efficienza dei numeri. Il suo modello, come lui stesso ha confermato in questi giorni, è il cosiddetto Moneyball, reso celebre dal film omonimo (in italiano, L’arte di vincere) e dalla reale vicenda di Billy Beane, leggendario manager di baseball americano che fece miracoli applicando dati e statistiche alla sua gestine degli Oakland Athletics. Non a caso, Cardinale ha confessato che è stato proprio Beane, grande appassionato di calcio, a consigliargli di investire in un club europeo, e adesso il boss di RedBird vorrebbe chiamare proprio Beane a un importante ruolo dirigenziale nel Milan.

Ma la verità è che il calcio non è il baseball. È uno sport molto più fluido e con una quantità di variabili molto maggiore, che rende praticamente impossibile utilizzare con efficacia un sistema come il Moneyball. E la storia di Beane lo dimostra: dal suo addio agli Oakland Athletics, il manager statunitense ha lavorato spesso col calcio (San José Earthquakes, AZ Alkmaar, Barnsley) e ovunque ha cercato di usare il suo celebre metodo, ma ottenendo sempre risultati molto deludenti.

Sia chiaro: l’analisi dei dati statistici nel calcio è oggi imprescindibile, ma funziona solo se affiancata a osservatori e manager dalla profonda competenza. E i risultati variano sempre in base all’investimento e al contesto: una versione profondamente riveduta e corretta del Moneyball è quella applicata da anni nel Midtjylland, che si è imposto come un club dominante in Danimarca, ma ovviamente entro certi limiti. Il Toulouse (l’altro club di RedBird) sta facendo ottime cose in Francia, ma affidandosi a un dirigente esperto come Damien Comolli. Lo stesso Liverpool di Jurgen Klopp ha costruito i suoi successi sull’analisi dati in funzione di un’idea di calcio ben specifica, ma ha speso quasi 200 milioni di euro per assicurarsi elementi chiave come Firmino, Van Dijk e Alisson.

La strada che sembra voler percorrere il Milan in questo momento, sembra quella di affidarsi più al pensiero magico che a quello scientifico, sostituendo competenze e studio con una sorta di ‘formula magica’ (che, per quanto basata sui numeri, resta tale perché scollegata da una reale conoscenza del fenomeno che vuole analizzare) che potrebbe portare al successo. Paolo Maldini era, per il Milan, l’uomo attorno a cui costruire il futuro, non quello da sacrificare.

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