Skip to main content

Lorenzo Pellegrini è il simbolo della rinascita della Roma dopo l’esonero di José Mourinho. Con l’addio del portoghese diverse dinamiche sembrano essere cambiate nello spogliatoio giallorosso, prima fra tutte quella relativa al capitano

L’arrivo di Daniele De Rossi ha ristabilito le gerarchie che Mourinho sembrava aver ribaltato nei suoi due anni e mezzo all’Olimpico. C’è una foto risalente alla scorsa settimana in cui il neo allenatore della Roma viene ritratto in palestra al fianco di Pellegrini, intento crediamo a parlare di tattica per la partita successiva. Una foto emblematica in cui si coglie tutta l’importanza di un cambiamento di certo non obbligatorio, ma probabilmente voluto da uno spogliatoio ormai attaccato con pezzi di scotch. Che De Rossi sia simbolo della romanità e della curva sud dell’Olimpico è cosa nota, e che Lorenzo Pellegrini sia l’erede della dinastia Totti-De Rossi sul campo è universalmente riconosciuto a Roma. Eppure quest’anno le cose sembravano diverse, con il capitano lontano dal campo per un infortunio e la squadra che si costruiva in maniera diversa, strutturandosi senza quella parte di romanità necessaria in un ambiente simile. Conseguentemente le prestazioni del numero sette sono precipitate, esattamente come il suo minutaggio in campo, con Mourinho che – al momento di andarsene – ha teatralmente inserito l’anello della Conference nell’armadietto di Pellegrini, accusando lui e la squadra per l’esonero voluto dai Friedkin. Uno strappo netto, una rottura che spiega a chiare lettere il motivo di questa improvvisa rinascita di Pellegrini in materia di gol e assist: la gestione De Rossi gli ha restituito centralità e responsabilità, cosa che con Mourinho sembrava aver perso. 

Leggi anche: Mourinho e l’anello della Conference, è sempre colpa degli altri  

Tre gol e un assist nelle ultime tre partite di campionato, bottino grazie al quale Pellegrini ha messo il proprio timbro sulla risalita in classifica della Roma che all’addio di Mourinho recitava nono posto in campionato con ventinove punti conquistati in venti partite, sconfitte contro Lazio e Milan, trentadue gol segnati e ventiquattro subiti. Dall’arrivo di De Rossi le cose sono cambiate drasticamente: tre gare giocate con altrettante vittorie, otto gol segnati, solamente due subiti – che portano il computo a 40-26 – e una ritrovata verve qualitativa che mancava da tempo all’Olimpico. L’emblema della trasformazione psicologica della Roma di DDR è il primo gol di Dybala nella partita di lunedì sera contro il Cagliari. Dopo il vantaggio siglato dall’ormai solito Lorenzo Pellegrini, l’argentino libera con un velo Cristante che cambia lato del campo di sinistro pescando El Shaarawy libero nell’uno contro uno. L’esterno a quel punto serve Pellegrini facendo passare la palla sotto le gambe del diretto avversario permettendo al capitano di servire a centro area Lukaku. Il belga, esattamente come fatto da Dybala pochi istanti prima, apre le gambe lasciando passare il pallone diretto al centro dell’area dove proprio l’argentino arriva a concludere in rete battendo Scuffet. Una costruzione ben lontana dalla consegna della palla a Dybala nella speranza che qualcosa venisse costruito di Mourinhana memoria. 

 
 
 
 
 
Visualizza questo post su Instagram
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Un post condiviso da AS Roma (@officialasroma)

La Roma di Daniele De Rossi

Daniele De Rossi
Daniele De Rossi saluta i tifosi allo stadio Olimpico (Image Photo Agency)

Se quindi potremmo parlare di moduli – passaggio dalla difesa a tre alla difesa a quattro, un centrocampo più qualitativo – di intensità e di costruzione della manovra per spiegare in termini tecnici come la Roma di De Rossi sia sulla buona strada per offrire alla Serie A il massimo potenziale a cui può aspirare questa Roma ci perderemmo sicuramente qualcosa. La trasformazione di questa Roma – al netto di avversari più che abbordabili – è emozionale, eleggendo De Rossi a vincitore nell’ipotetico scontro con José Mourinho. Il portoghese ha da sempre fatto dell’aspetto psicologico ed emotivo il proprio cavallo di battaglia, riuscendo però sempre a trovare un nemico comune contro cui rivolgere la squadra, la tifoseria, la società e chiunque volesse essere dalla sua parte. La vittoria in Conference League e la finale di Europa League della scorsa stagione hanno di certo contribuito ad alimentare questo amore reciproco tra Roma e José, ma l’incipiente fine del ciclo del portoghese ha lentamente consumato questo rapporto, fino a logorare lo spogliatoio. 

L’arrivo di De Rossi ha cambiato le carte in tavola portando in dote una nuova emozione, quel legame viscerale con Roma che esula dall’arrivo di grandissimi campioni – come Lukaku o Matic – o di promesse mancate del calcio internazionale – Renato Sanches – ma necessita solamente di ragazzi legati a Roma e alla Roma che negli obiettivi delle radio giallorosse rivedono i propri. Pellegrini è esattamente questo: il capitano di una squadra che ha bisogno della sua romanità, incarnata non solo dal capitano ma anche da Dybala, unico filo (giallo)rosso che lega le due avventure. Da Dybala a Dybala dunque, passando per un ritrovato Pellegrini e una piazza che, salutato il condottiero portoghese, ritrova il gladiatore di Ostia.