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La Juventus è pronta a ricorrere contro la sentenza sul caso plusvalenze. La difesa principale è che non esiste una norma per cui condannarla, ma è davvero così?

Un documento “viziato da evidente illogicità, carenze motivazionali e infondatezza in punto di diritto“. Così la Juventus ha bollato le motivazioni della sentenza della Corte federale del 20 gennaio scorso, comunicate ieri nel primo pomeriggio, alla scadenza dei canonici 10 giorni. A questo punto, il club bianconero ricorrerà presso il Collegio di garanzia del CONI per cercre di ottenere l’annullamento delle sentenza, facendosi così restituire i 15 punti di penalizzazione.

Fin da quando è stata emessa la sentenza, due venerdì fa, uno dei temi più dibattuti – e che andrà probabilmente a costituire un aspetto importante della difesa della Juventus – è l’assenza di una norma specifica contro le plusvalenze. In molti, infatti, stanno sottolineando che la Juventus avrebbe violato una norma che non esiste, e per questo non dovrebbe essere condannata. Ma le cose stanno davvero così?

Quali regole ha violato la Juventus

Partiamo da un fatto indiscutibile: non esiste, nel diritto sportivo, nessuna regola che vieti le plusvalenze, neppure quelle artificiale che la Juventus è accusata di aver commesso. La Juventus non può quindi essere condannata su questo punto, dato che non è normato in alcun modo: se non esiste la legge, non la si può violare. Questo è abbastanza semplice, ma il problema è che la Corte federale, come scritto nelle motivazioni della sentenza, ha sanzionato il club bianconero per altre violazioni.

I reati contestati riguardano l’articolo 4 comma 1 e l’articolo 31 comma 1 del Codice di Giustizia sportiva, e si fa anche riferimento all’articolo 19 dello Statuto federale della FIGC. Quindi, sono state individuate altre norme violate, secondo la Corte federale, dalla Juventus. Vediamo di cosa si tratta nello specifico.

L’articolo 4 comma 1 è in assoluto quello più discusso. Sostiene che i club sono tenuti ad osservare non solo le norme, ma anche “i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva“. Si tratta di una norma di carattere generale, che non sembra riguardare direttamente il caso della Juventus, ma non è proprio così. Questa norma è infatti da considerare necessaria per coprire un arco di possibili violazioni non regolate in precedenza, che ledono i principi di lealtà e correttezza. O, per dirla con le parole contenute nel parere 5/2017 del Collegio di Garanzia del CONI, “evita di dover considerare permesso ogni comportamento che nessuna norma vieta e facoltativo ogni comportamento che nessuna norma rende obbligatorio”.

In questo caso, la Juventus avrebbe violato questi principi alterando i propri bilanci, in modo da potersi permettere operazioni di mercato (cioè, l’acquisto di giocatori) pur non avendone l’effettiva possibilità economica.

Questo è il punto fondamentale della sentenza contro la società bianconera. Successivamente viene citato l’articolo 31 comma 1, che riguarda l’illecito amministrativo, costituito dalla “mancata produzione, l’alterazione o la falsificazione materiale o ideologica, anche parziale, dei documenti richiesti dagli organi di giustizia sportiva”. In questo caso, la Juventus è infatti sotto accusa per aver alterato i bilanci e nascosto parte della documentazione agli organi di controllo.

In ultimo, viene citato anche l’articolo 19 dello Statuto del CONI, che ha un valore minore e si limita più che altro a rimandare alle norme precedenti. Stabilisce infatti che tutte le società di calcio professionistico “sono assoggettate alla verifica dell’equilibrio economico e finanziario e del rispetto dei principi della corretta gestione“, che dipende dai principi approvati dal CONI, e cioè dal Codice di Giustizia sportiva.

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