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Jorginho parla in conferenza stampa di Frank Lampard: “Ha saltato alcuni step necessari per meritare un grande club”. Ha ragione?

La stagione del Chelsea ha vissuto una svolta con l’addio di Frank Lampard e l’arrivo in panchina di Thomas Tüchel, che ha portato il club in semifinale di Champions League e in lotta per il quarto posto. Proprio alla vigilia del match cruciale contro il West Ham, il centrocampista dei Blues, Jorginho, ha parlato in un’intervista a Espn del suo vecchio allenatore, mettendo l’accento su un tema molto caldo e dibattuto al giorno d’oggi: l’abitudine di dare grandi panchine a ex calciatori senza esperienza.

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Le parole di Jorginho

“Su Lampard sarò molto sincero: è una leggenda del Chelsea e per questo credo che abbia saltato alcuni step necessari per imparare e meritare la panchina del grande club”. Così il centrocampista italiano ha parlato del suo ex allenatore. Parole che possono sembrare un attacco, ma che in realtà non fanno altro che esemplificare una tendenza sempre più in auge al giorno d’oggi, che solo in rari casi ha ripagato.

È sempre più frequente vedere grandi giocatori che, appesi gli scarpini al chiodo, tentano subito la carriera da allenatore. Nulla di insolito ovviamente, tranne che molto spesso il percorso in panchina delle ex stelle inizia da club prestigiosi, spesso gli stessi con cui hanno incantato in campo.

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È più o meno il caso, appunto, di Frank Lampard, che dopo un solo anno sulla panchina del Derby County, in Championship, è diventato nell’estate 2019 allenatore del Chelsea. Un salto veritiginoso, che l’ex stella dei Blues paga con l’esonero arrivato dopo un anno e mezzo.

L’esperienza di Lampard al Chelsea ha mostrato tutte le problematiche di una situazione che si verifica ormai molto frequentemente. Al netto anche di elementi positivi, il Chelsea di Lampard a tratti ha fatto vedere cose molto interessanti, è difficile che un allenatore alle primissime esperienze abbia la bravura di gestire determinate situazioni. Infatti, nel primo momento davvero negativo, l’ex centrocampista non è riuscito a riprendere le redini della squadra, pagando con l’esonero.

pirlo juventus

Fonte immagine: @Boris_SerieA (Twitter)

Il caso italiano

Le parole di Jorginho riaprono il tema: è giusto affidare la panchina di grandi club a ex stelle alle primissime esperienze da allenatori? In Italia possiamo vedere molti esempi di questa tendenza, che possono aiutare a esprimere un giudizio. Oggi il caso più eclatante è naturalmente quello di Andrea Pirlo, che ha cominciato la carriera da allenatore con la panchina più prestigiosa del campionato di Serie A: quella della Juventus. I risultati non sono stati, per usare un eufemismo, buoni: la vecchia Signora ha vissuto probabilmente la stagione più complicata degli ultimi 10 anni.

Questa tendenza si è vista molto bene al Milan, prima dell’inversione di tendenza degli ultimi anni. Da Filippo Inzaghi, diventato tecnico dei rossoneri nel 2014 dopo alcune esperienze nel giovanili del diavolo, a Gennaro Gattuso, che ha ottenuto la panchina rossonera dopo le esperienze, non di primissimo rilievo, all’OFI Creta e al Pisa. Oltre all’avventura non entusiasmante al Palermo.

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Entrambi gli allenatori hanno avuto vistose difficoltà in rossonero, ma hanno poi dimostrato di avere ottime potenzialità, semplicemente avevano bisogno di un percorso di crescita. Filippo Inzaghi è ripartito dal Venezia, si è riconquistato la Serie A col Benevento e ora lotta per lottarci. Gattuso dopo ha messo a frutto la traumatica esperienza rossonera per poi vivere la propria parabola in crescendo al Napoli.

I casi italiani mostrano un assunto di base, valido in fondo in ogni professione: per arrivare ai massimi livelli ci vuole un percorso di crescita. La tendenza ad affidare le grandi panchine a ex calciatori senza esperienza fa male sia ai club, che non trovano risultati, che agli allenatori, che magari vengono giudicati negativamente quando, con un percorso professionale alle spalle, hanno tutte le carte per essere allenatori di livello.

Fonte: profilo ufficiale Twitter @realmadrid

L’eccezione Zidane

Ovviamente c’è poi l’altro lato della medaglia. C’è il caso di Zidane, che dopo vari incarichi dirigenziali nel luglio 2013 diventa allenatore del Real Madrid e conduce i blancos alla vittoria di addirittura 3 Champions League consecutive. Una scelta azzardata, che ha ripagato a livello difficilmente immaginabili.

Il caso di Zidane però pare più essere la classica eccezione alla regola, anche perché è avvenuto in un contesto particolare come quello del Real Madrid, club storicamente ricco di campioni di primissimo livello, con personalità in grado di eleggere o rigettare qualsiasi tecnico.

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È comunque innegabile che il Real Madrid con Zidane abbia fatto un capolavoro, ma la sensazione è anche che abbia creato una pericolosa deriva. Molti club hanno provato a emulare i blancos, affidando le loro panchine a ex calciatori di primissimo livello, senza però esperienza da mister. I risultati non sono mai stati nemmeno lontanamente paragonabili a quelli ottenuti dai spagnoli.

Eppure questa tendenza continua, perché c’è il caso Zidane che costituisce uno speranzoso precedente, e perché in fondo essa fa parte di quella frenesia che avvolge il calcio moderno, di quel bisogno di ottenere i risultati immediatamente. Il concetto di progetto al giorno d’oggi si sta eclissando, vale per le squadre che raramente lavorano sia disegni a lungo termine, ma soprattutto per gli allenatori, che quasi mai hanno il tempo o lo spazio per sviluppare in modo adeguato le proprie idee. Scaraventati in realtà più grandi di loro o succubi delle tempistiche ristrette e del demone del risultato immediato.

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