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Pep Guardiola è sempre stato un personaggio tanto polarizzante quanto divisivo, ma spesso non è mai dipeso direttamente da lui

La bella vittoria di Anfield Road contro il Liverpool permette al Manchester City di staccare ulteriormente le inseguitrici e puntare dritto verso la vittoria della Premier League. Il 4-1 contro i Reds è figlio di un’ottima prestazione, sicuramente diversa da quella che si aspettavano i puristi del Guardiolismo, questo movimento calcistico volto a etichettare le presunte peculiarità del gioco proposto dal manager catalano.

Contro Klopp, il Manchester City ha vinto in maniera intelligente, ottimizzando tutti i propri punti di forza e sfruttandoli per mettere in difficoltà l’avversario, sfiancato dal giro palla – spesso sterile, ma comunque stancante da affrontare con attenzione – che i Citizens hanno imbastito sin dal primo minuto. Il risultato finale parlerebbe di dominio ospite e, per certi versi, lo è stato, ma non come ci si aspetterebbe. Infatti, soprattutto nell’approccio ai big match, Guardiola ha dimostrato di essere migliorato per quanto riguarda letture e adattamenti.

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Fonte Immagine: @guardiolaoficial (Instagram)

Guardiola e il distacco col passato

La prima considerazione del caso la fornisce lo stesso Guardiola nel postpartita di Anfield: “Dobbiamo prendere atto che noi non possiamo giocare come loro: non abbiamo nelle corde quel tipo di calcio, per questo abbiamo abbassato i ritmi cercando di portare il match su situazioni che ci convenivano”. Una dichiarazione forte, che in molti hanno preso come una sorta di resa. Guardiola non è più quello che fa la partita a prescindere dall’avversario, diranno in molti.

In realtà, non lo è mai stato: quella del Guardiola monodimensionale è solo una leggenda metropolitana che i puristi del calcio di possesso si son o raccontati per anni, tenendo per buono che il Guardiola del Barcellona fosse un allenatore di quel tipo e che mai, in carriera, si sarebbe discostato da tale caricatura. In realtà, Pep ha una capacità di adattamento estrema, che riesce – ma solo in un secondo momento – a far collimare con le sue idee interessanti e per certi versi innovativa.

Lo ha fatto a Monaco di Baviera, segnando una nuova per il calcio tedesco, rimettendo in discussione i dettami di una scuola calcistica importante ma da rinnovare. Poi lo ha fatto anche al Manchester City, checché ne pensi la maggior parte della critica sempre pronto a criticarlo quando non centra un obiettivo. Guardiola è preso suo malgrado tra due fuochi, uno pro e l’altro contro, ma ha sempre tirato dritto puntando forte sulle proprie convinzioni.

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Fonte immagine: @IlkayGuendogan (Twitter)

Il Manchester City sa adattarsi

Per quanto riguarda la Premier League, Guardiola ha spesso sofferto gli scontri diretti con Klopp, tanto è vero che per prendere le misure al tedesco ci ha messo un bel po’ di anni. Il Liverpool, nelle stagioni passate, è stata l’unica squadra capace di distruggere agonisticamente – più volte, peraltro – i Citizens, con il catalano che ha avuto parecchi problemi a studiare contromisure ideali per arginare lo strapotere dei Reds.

Ora le cose sembrerebbero cambiate, come confermato dal nervosismo di Klopp nel prepartita. La prestazione di Liverpool ha messo in mostra la crescita mentale di un manager costantemente sotto pressione: Guardiola ha studiato, si è aggiornato, ha cambiato modificando ciò che non andava e ha continuato a vincere, da grande allenatore qual è.

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Fonte Immagine: @mrpepguardiola
(Instagram)

Il concetto di “Guardiolismo” ha ancora senso?

Si può quindi ancora parlare di Guardiolismo? Dipende dal significato che si vuole attribuire a questo termine. Se il termine di paragone è il Barcellona del tiki-taka allora no, semplicemente perché oggi non esistono i nuovi Xavi, Iniesta né, tantomeno, Messi. Se invece per Guardiolismo si intende la capacità di calarsi in maniera efficace in ogni contesto e ogni situazione, allora sì.

Nonostante gli inizi difficoltosi – Guardiola in Inghilterra non ha vinto un campionato nell’anno in cui ce l’ha fatta il Leicester – in Premier League, oggi la squadra sembra aver assorbito definitivamente i dettami del manager catalano. Che, per contro, ha avuto la possibilità di puntellare bene la squadra con l’arrivo di Ruben Dias in difesa, in grado di implementare una squadra già molto forte.

Niente etichette, quindi, per uno degli allenatori più moderni del nuovo secolo. Al quale, per entrare definitivamente nell’Olimpo del calcio, manca solo la Champions League vinta con una outsider come il Manchester City. Dovesse riuscirci, potrebbe anche decidere di smettere diventando una leggenda, ammesso che già non lo sia.

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