La storia di Glauber Berti, vero e proprio oggetto misterioso del Manchester City e protagonista di una delle esperienze più insensate e iconiche nella storia recente del club
Il 24 maggio del 2009, alle ore 17:45 circa, sta volgendo al termine nell’impianto del City of Manchester Stadium la partita tra i padroni di casa e il Bolton. Si tratta del primo anno dell’esperienza degli emiri nel calcio inglese e, nonostante qualche individualità molto forte figlia di un mercato importante, i Citizens non andranno oltre un deludente decimo posto in campionato. Il meglio deve ovviamente ancora venire, per tutti. Proprio negli ultimi istanti della gara in questione – decisa dal futuro attaccante della Lazio Felipe Caicedo – fa il suo ingresso in campo un vero e proprio oggetto misterioso. Il suo nome è Glauber Berti.
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Nessuno, fino a quel momento, l’aveva visto sul rettangolo di gioco. Eppure è stato uno degli acquisti teoricamente più interessanti del calciomercato estivo di quella stagione per il City. La sua esperienza resta, ancora oggi, una delle più insensate e (al tempo stesso) iconiche nella storia recente del club britannico.
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La storia di Glauber Berti, il panchinaro fisso del Manchester City
Senza ironia, si può affermare convintamente di come Glauber Berti sia stato dimenticato in maniera abbastanza comprensibile da ogni tifoso del City di fede più o meno recente. Il Manchester City era stato – come ci si aspettava – protagonista di un mercato decisamente rivoluzionario, atto a modificare in maniera decisa la precedente squadra arrivata nona sotto la gestione thailandese. A fronte di ben 16 cessioni (tra cui quelle degli italiani Corradi e Bianchi) furono acquistati 7 giocatori.
Tra loro spiccava ovviamente il colpo Robinho, pagato 43 milioni dal Real Madrid. Anche gli altri nomi – Jo, Wright-Phillips, Kompany, Ben Haim – lasciavano presagire un cambio netto di marcia. Si cercavano protagonisti relativamente giovani ma capaci già di trasmettere leadership ed esperienza, miste ovviamente al talento. Una necessità per la nuova proprietà emira, che aveva prelevato il City dopo i disastri e le macerie lasciate da un personaggio come Thaksin Shinawatra che meriterebbe una storia a parte.
L’acquisto di Glauber Berti si concretizza, con precisione, il 31 agosto del 2008. Classe 1983, brasiliano ma con passaporto pure italiano, viene prelevato a titolo definitivo ma gratuito dopo tanti anni di militanza nel Norimberga (prim’ancora aveva giocato con Atletico Mineiro e Palmeiras), club di Bundesliga con il quale nel 2006/2007 aveva vinto quello che si rivelerà poi essere l’unico trofeo della carriera, la Coppa di Germania. Addirittura Glauber Berti aveva indossato il 27 aprile del 2005 – anche in questo caso per la prima e unica volta – la maglia della selezione brasiliana. Fu infatti convocato e schierato in campo da Carlos Alberto Parreira durante Brasile-Guatemala 3-0, indossando la casacca numero 15 per soli 9 minuti.
Glauber Berti si rivela un centrale molto roccioso, che può giocare sia sul centrodestra che sul centrosinistra in una difesa a 4. Alto 191 cm, statico ma bravo di testa, rappresentava una potenziale soluzione per il reparto di Mark Hughes, subentrato la stagione precedente a Sven Goran Eriksson e confermato sulla panchina nonostante qualche scetticismo.
Fin dal momento del suo arrivo, però, Glauber Berti fu quasi immediatamente accantonato a livello mediatico. Ebbe infatti la “sfortuna” di essere acquistato nello stesso giorno in cui il City prese una futura bandiera del club, il Nazionale argentino Pablo Zabaleta. Pagato quasi 9 milioni di euro dall’Espanyol, era stato il quarto colpo di mercato per dispendio monetario dei Citizens, nonché l’ultimo di una certa rilevanza. Glauber quindi si ritrova immediatamente a vestire i panni dell’outsider. Smessi in seguito per indossare un ingombrante costume da ironico antieroe.
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Fenomeno da baraccone
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La stagione di Glauber Berti è semplicemente inesistente. Il brasiliano non gioca praticamente mai, nonostante le tante competizioni nazionali ed europee (Coppa UEFA) a cui il City prende parte. Sembra esserci spazio per tutti tranne che per lui. Il destino è praticamente già segnato, tanto è vero che Glauber si svincolerà al termine della stagione per poi proseguire una carriera abbastanza singolare vestendo le maglie di Sao Caetano, Rapid Bucarest, Columbus Crew e l’inusuale XV de Piracicaba.
Nonostante un percorso a tratti drammatico e sconfortante, Hughes decide di regalargli le luci della ribalta proprio nell’ultima gara di Premier League. Glauber viene inserito per difendere il risultato e, tutto sommato, fa il suo per mantenere l’1-0 finale. In dieci minuti scarsi l’esperienza del brasiliano con la maglia numero 36 al Manchester City si era aperta e chiusa, come una parentesi utilizzata per contenere un periodo breve e di poca importanza.
Lo stesso Glauber è stato intervistato nel 2015 dalla televisione ufficiale del Manchester City, con tanto di servizio dedicato e viaggio in Brasile per ricordare quell’incredibile annata. “Ho atteso un’opportunità che non è mai arrivata. Per come la vedo, quando ricevi un’opportunità e per varie ragioni non riesci a coglierla, è ok. Ma io non l’ho mai ricevuta.
Esordire con il Manchester City è comunque un evento notevole della mia vita. Lo ricordo sempre quando i miei amici o altre persone mi chiedono qualcosa sulla mia carriera. Fu una cosa notevole per me come credo anche per il Manchester City”, ha spiegato l’ormai 37enne carioca. Interpellati sulla conoscenza del nome del calciatore, molti tifosi del City sono parsi spaesati dalla domanda e qualcuno ha candidamente chiesto di chi si stesse parlando.
Anche il suo ex compagno di squadra Kompany è stato coinvolto nello speciale dedicato al brasiliano, trattato alla stregua di un fenomeno da baraccone. “Si tratta di uno dei migliori professionisti con cui mi sia mai allenato”, spiega sornione il belga con un sottofondo musicale allegro e un’esitazione nel finale (forse voleva dire “con cui abbia giocato” ma non è stato possibile). Lasciandosi poi andare a una considerazione forse più sentita: “Lui era decisamente migliore di quanto si potesse pensare ma in quella stagione, per svariate ragioni, forse gli fu difficile trovare posto in squadra.
Se non sbaglio ha giocato anche con il Brasile. Non parlava spesso ma quando lo faceva diceva cose giuste. Però a volte le cose vanno in questa maniera”. Addirittura lo stesso Zabaleta ha rilasciato alcune dichiarazioni sul collega brasiliano, tra il serio e il faceto: “Che leggenda! Un grande professionista. Era molto tranquillo, non era il tipico brasiliano pronto a ballare e ascoltare musica”.
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Dieci minuti di gloria
Glauber ha ricordato con precisione alcuni frammenti della sua esperienza inglese, nella quale era praticamente diventato una mascotte per il tifo: “Il Manchester City era stato appena acquistato dagli sceicchi, era nel pieno di una rivoluzione e per me si trattava di un passo importantissimo in carriera. Diventai molto amico di Robinho, Elano, Jo e Caicedo, lo spogliatoio era molto cordiale. C’era molta gioia e ci piaceva giocare a calcio insieme. Ricordo che a ogni partita i tifosi allo stadio cantavano per farmi entrare in campo. I dieci minuti in cui rimasi in campo furono fantastici, perché ogni volta che toccavo il pallone i tifosi urlavano il mio nome. Fu una cosa molto carina”.
Ora il brasiliano si gode la famiglia dopo il ritiro, in Brasile. La tv del Manchester City ha concluso il suo servizio dandogli ironicamente l’appellativo di “invisible man”, con tanto di trucco di magia per farlo “sparire”, lasciando solo vestiti e livree. Ma storie come quelle di Glauber sono il pane del calcio, che non sempre riserva gloria e fama ma pure un oblio paradossalmente piacevole.