Il PSG si è costruito la fama di una delle squadre più disfunzionali d’Europa, ma in questa stagione Luis Enrique pare aver cambiato le cose.
Il suo arrivo a Parigi era stato accolto con le solite grandi aspettative, ma con la consapevolezza che nella capitale francese basta poco per rovinarsi la reputazione. Non a caso, Luis Enrique è diventato il quarto allenatore diverso del PSG nelle ultime quattro stagioni: i suoi predecessori hanno messo in bacheca 11 trofei più una finale di Champions League, ognuno di loro ha conquistato almeno due trofei, eppure le loro gestioni sono state tutte ritenute dei fallimenti. Questo rende bene l’idea di quanto sia complicato allenare il club parigino.
L’ex allenatore del Barcellona se n’è reso conto subito, perché la sua stagione non era certo iniziata benissimo. Due pareggi nelle prime due partite in Ligue 1, sconfitta contro il Nizza alla quinta, drammatico girone di Champions, superato con molte difficoltà (perdendo contro Newcastle e Milan, e pareggiando col Dortmund e ancora contro i Magpies). Oggi, però, la squadra di Luis Enrique ha un volto completamente diverso: domenica, la sconfitta del Monaco a Lione ha consegnato al PSG il titolo nazionale, che si aggiunge alla Supercoppa francese vinta a gennaio. Risultati minimi, vista la disparità economica e tecnica che il PSG può mettere in campo a livello nazionale, ma che non vanno mai dati per scontati. Nel frattempo, però, il club è in corsa per uno storico poker: il prossimo 25 maggio si giocherà la Coppa di Francia contro il Lione, e nel frattempo è in semifinale di Champions League contro un Borussia Dortmund che pare decisamente abbordabile per i ragazzi di Luis Enrique.
Il tecnico spagnolo sembrerebbe essere riuscito nell’impossibile: dare equilibrio e coerenza a una delle squadre più disfunzionali d’Europa. Condizionale d’obbligo, perché il PSG è un cristallo delicatissimo, che potrebbe andare in pezzi da un momento all’altro. Il calcio transalpino non è abbastanza provante per le ambizioni del club, e in Europa ha avuto a che fare con avversari che, per un motivo o per l’altro, non era certo gli avversari più ostici che poteva incontrare. Dopo le difficoltà nei gironi, il PSG ha superato la sorpresa Real Sociedad, e ai quarti un Barcellona ancora in crisi. Però intanto è in semifinale, e se dovesse raggiungere il match decisivo della competizione sarebbe a 90 minuti da un risultato storico.
Come Luis Enrique ha cambiato il PSG
Luis Enrique è un allenatore capace ed esperto, che sa gestire i grandi campioni e ha idee tattiche molto precise. Ma questo a Parigi non è mai bastato, come abbiamo visto di sicuro almeno con Tuchel, ma pure con Pochettino. L’ingrediente decisivo del successo in questa stagione sembra essere piuttosto un’inversione di rotta rispetto al passato: invece di infarcire la rosa con campioni strapagati e primedonne, il PSG si è liberato di molti di essi in estate, puntando su nomi meno roboanti ma anche meno ingombranti. Se ne sono andati Messi, Paredes, Sergio Ramos, Draxler, Icardi, Verratti e soprattutto Neymar, lasciando un’unica grande stella senza rivali, Kylian Mbappé.
Ruoli chiari, in campo ma soprattutto nello spogliatoio. E, per completare la squadra, sono arrivati giocatori importanti (e indiscutibilmente costosi: sono stati spesi 454 milioni di euro nell’ultimo anno) ma con un profilo caratteriale uno status completamente differenti: Ugarte, Gonçalo Ramos, Barcola, Kolo Muani, Asensi, Luca Hernandez, Dembélé, Lee Kang-in. Acquisti funzionali, si è detto, che Luis Enrique ha saputo gestire a meraviglia nel corso della stagione, anche rovesciando le gerarchie inizialmente previste. Skriniar, arrivato dall’Inter con grande clamore, si ritrova oggi spesso alle spalle di Danilo Pereira e addirittura del 20enne Lucas Beraldo. Allo stesso modo Marco Asensio, che molti davano per titolare a settembre, oggi – anche a causa dei frequenti infortuni – è solo il sesto attaccante più utilizzato da Luis Enrique.
Il PSG è una squadra che ci ha regalato molte sorprese, in questi mesi. Nessuno si aspettava che il coreano Lee Kang-in potesse diventare una delle principali alternative ai titolari, e forse neppure che il 22enne Gonçalo Ramos si ritrovasse a segnare di più pur giocando meno di Kolo Muani. Poi c’è stato il boom del 18enne Warren Zaire-Emery, primo grande prospetto del settore giovanile che il club ha avuto il buon gusto di trattenere in rosa. Luis Enrique ha dato il ruolo di leader a Mbappé, che da tempo non chiedeva altro, e ha affidato le chiavi del centrocampo a Vitinha (terzo giocatore più impiegato della rosa, dopo Mbappé e Donnarumma). Tuttavia, dire che il problemi sono risolti sarebbe semplicistico: la difesa continua a essere il tallone d’achille, come lo era stata l’anno scorso con Galtier, pur con le dovute proporzioni. In Ligue 1, il PSG è solo la terza miglior difesa del campionato, mentre in Champions League ha subito 13 reti in 10 partite, nonostante, come si è detto, ha spesso affrontato avversari non irresistibili. La chiave per un eventuale grande successo in questo finale di stagione potrebbe dover passare anche da qui.
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