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Dopo anni in cui l’Everton lottava stabilmente tra le prime dieci della Premier League, oggi i Toffies si ritrovano a serio rischio retrocessione.

“Non è una cosa che posso controllare, quindi non me ne preoccupo” dice Frank Lampard, ostentando sicurezza. Quella sicurezza di cui però, al momento, sembra deficitare la sua squadra, quart’ultima in Premier League: 5 punti in meno del Leeds sedicesimo, uno solo di vantaggio sul Burnley e giusto tre sul Watford.

Nessuno a inizio stagione si aspettava di trovare i Toffies così giù, nonostante negli ultimi anni la squadra avesse dimostrato segni di cedimento dopo l’epoca d’oro 2006-2014, in cui l’Everton arrivava stabilmente nelle coppe europee e sembrava in grado di inserirsi nel novero delle big del calcio inglese, e magari arrivare un giorno a lottare per un titolo che manca dal 1987. E invece, ora l’obiettivo è difendere la categoria.

La frattura del 2016

Sono due i nomi che hanno ridato speranze a chi vive sulla sponda blu di Liverpool: David Moyes e Roberto Martinez. Tra il 2002 e il 2016, questi due allenatori hanno guidato le due fasi della rinascita del club, conquistando un quarto posto in Premier League, tre quinti e due sesti. Nessun trofeo, ma uno status da potenziale top club che non poteva essere sottovalutato.

Poi le cose sono cambiare, proprio nel 2016, l’anno dell’addio di Martinez, condannato da una stagione deludente e andato a sedersi sulla più comoda panchina del Belgio. Una decisione discussa e discutibile, dettata anche dalla voglia di cambiamento del nuovo proprietario Farhad Moshiri, imprenditore anglo-iraniano arrivato in società a febbraio, dopo aver ceduto le sue quote di minoranza dell’Arsenal.

Che il cambio ai vertici societari abbia segnato la fine di un’epoca, comunque, è facile da dire col senno del poi, perché al suo arrivo Moshiri aveva portato con sé grandi ambizioni e sostanziosi investimenti: nei dieci anni precedenti, le spese sul mercato dell’Everton erano sempre rimaste sotto ai 50 milioni, mentre alla sua prima incursione nel calcio mercato l’iraniano arrivò a spenderne 86.

Il problema, come spesso accade in questi casi, non è però quanto spendi, ma come. In quella campagna di rafforzamento – avvenuta mentre in panchina si sedeva Ronald Koeman – arrivarono giocatori come Yannick Bolasie, Morgan Schneiderlin, Ashley Williams e Ademola Lookman. Non proprio nomi destinati a lasciare il segno, specialmente se consideriamo che, in contemporanea, l’Everton si privava di John Stones, ceduto al Manchester City per 56 milioni di euro. E dire che, solo un anno prima, i fan dei Toffies cantavano fieramente “Money can’t buy you Stones”, dopo che il club aveva rifiutato una simile offerta da parte del Chelsea.

Il disastro economico dell’Everton

La nuova gestione ha portato a Goodison Park una grande quantità di giocatori di prima fascia, almeno a giudicare dai cartellini, ma nonostante le ricche cessioni il deficit di bilancio del club è andato crescendo. Per l’annata 2017/2018, tanto per fare un esempio, l’Everton ha incassato la cifra record di 126 milioni di euro, grazie alle uscite di gente come Barkley e Lukaku, ma le entrate hanno superato quota 200 milioni. Per chi? Beh, ecco qualche nome: Cenk Tosun, Theo Walcott, Davy Klaassen, Jordan Pickford, Michael Keane. Addirittura, l’islandese Gylfi Sigurdsson è arrivato a costare 50 milioni da solo.

Acquisti totalmente sconsiderati, salari alle stelle, e nessun serio progetto tecnico: nelle sei stagioni seguite all’addio di Martinez, si sono succeduti altrettanti allenatori, passando da Sam Allardyce a Marco Silva a Carlo Ancelotti. E dire che il tecnico italiano sembrava poter invertire la tendenza: al Boxing Day del 2020, l’Everton stava al secondo posto, a due punti dal Liverpool capolista. Poi il crollo, fino a chiudere in decima posizione.

Chi accusa il club di mancanza di visione sportiva coerente, solitamente accusa Moshiri di aver cacciato, a dicembre 2021, il direttore sportivo olandese Marcel Brands – l’uomo che aveva rilanciato AZ Alkmaar e PSV Eindhoven – per affidarsi ai consigli esclusivi di Kia Joorabchian, potente quanto discusso super-procuratore, il cui avvicinamento ai Toffies scatenò addirittura una protesta dei tifosi.

Il dramma degli infortuni

Dal 2014 a oggi, l’Everton non è mai più arrivato sopra all’ottavo posto, e nel 2020 è addirittura sceso al dodicesimo, la peggior prestazione dal 2004, anni in cui i Toffies lottavano per non retrocedere. Proprio come ora, anche se allora con un budget inferiore di oltre la metà a quello attuale.

Sarebbe dovuta essere la stagione della definitiva consacrazione di due straordinari talenti offensivi come Dominic Calvert-Lewin e Richarlison, reduce da un’Olimpiade da protagonista, e quella del tanto sospirato rilancio di Donny van de Beek, dopo la deludente permanenza al Manchester United. L’olandese, arrivato a gennaio, ha giocato appena sei impalpabili partite, prima di infortunarsi. Calvert-Lewin ha perso praticamente tutta la prima parte della stagione per una frattura alle dita dei piedi, e non ha ancora trovato il gol nel 2022, mentre il brasiliano – 6 gol e 4 assist fin qui – si ritrova a essere sia il miglior realizzatore che il miglior assistman della squiadra.

Ora in panchina c’è Frank Lampard, una scelta che non ha mai del tutto convinto i tifosi e che fin qui ha raccolto solamente tre punti, frutto della larga vittoria sul Leeds (3-0: più gol segnati lì che in tutte le altre partite con il nuovo allenatore). Le statistiche suggeriscono che la colpa non sia tutta sua, però, dato che l’Everton è la squadra di Premier League con il più alto numero di infortunati in stagione.

Un dato che può scusare un’annata balorda, partita male e proseguita peggio, ma che purtroppo non rappresenta un’eccezione: il percorso mantenuto negli ultimi sei anni dai Toffies è una spirale discendente, che nel 2021/2022 sembra essersi semplicemente trasformata in una picchiata. Tuttavia, se può rinfrancare gli animi, il tasso tecnico della rosa resta ancora enormemente superiore a quello delle avversarie.

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