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Tra i vicoli di una Manchester spesso troppo fredda e cupa per sembrare vera, un murale raffigurante Duncan Edwards illumina le scorbutiche strade, strappando un sorriso a chi – per caso o venerazione – decide di transitargli accanto. Spesso ci si chiede, parlando banalmente di pallone, cosa sarebbe accaduto a calciatori che troppo giovani hanno abbandonato la via del destino, pronta a trasportarli verso un dorato Valhalla, nell’Olimpo del calcio, nel Paradiso degli immortali.

Duncan Edwards, nonostante la giovanissima età, ha finito per entrare lo stesso in questo ristretto circolo. Forse per via di quanto fatto nella sua brevissima e intensa carriera. Probabilmente, anche a causa della sua tragica morte, che di fatto lo ha reso una leggenda.

Ancora oggi Edwards è ricordato, da alcuni della sua generazione, come il calciatore più forte di sempre, la ciliegina sulla torta dei rimpianti sportivi. Colui che avrebbe potuto cambiare ogni cosa nella concezione di questo sport ma che ha vissuto un fato troppo tragico per poter portare a termine la sua messianica missione.

Il più grande di tutti: la tragica storia di Duncan Edwards

Nato a Dudley nel 1936, Duncan Edwards è passato alla storia come uno dei calciatori più forti di sempre nonostante appena cinque stagioni da professionista. L’inglese – soprannominato Big Dunc per via della sua corporatura – è stato inoltre il prototipo del calciatore totale: centrocampista difensivo abile sia nel gioco aereo che con i piedi, venne spesso schierato anche come trequartista ed esterno. Possedeva una tecnica davvero singolare rispetto alla sua stazza.

Prese le dovute distante, Edwards potrebbe essere paragonato in tal senso a Zlatan Ibrahimovic, calciatore massiccio ma leggiadro nei movimenti, con l’intelligenza tecnico-tattica di un Pirlo o un Iniesta. Questa sua leggerezza derivava anche da una componente giovanile: fino a 14 anni, infatti, il britannico si dilettò nella danza. Quando arrivò il momento di scegliere, però, non ci furono dubbi: il pallone ebbe immediatamente la priorità nella sua vita.

Nel privato Duncan Edwards era un ragazzo estremamente pacato: astemio e non avvezzo a giochi d’azzardo, amava andare a pesca e al cinema. Scrisse persino un libro, Tackle Soccer This Way, che venne pubblicato postumo grazie al determinante consenso della sua famiglia. Edwards ebbe il talento ma anche la fortuna di far parte di una delle compagini più forti nella storia dell’Inghilterra: il Manchester United di Matt Busby. Allenatore-manager del club, Busby mise insieme un gruppo di ragazzi giovani, volenterosi e pregni di classe, che in seguito verranno ricordati (per l’appunto) come Busby Boys, i quali presero progressivamente il posto di compagni più vecchi e non più motivati, finendo per entrare nella Storia del calcio sia per i successi che per la tragica scomparsa.

Lo United mette gli occhi su questo talentuoso ragazzino che si era fatto notare nelle partite tra rappresentative scolastiche, facendogli firmare immediatamente un contratto per il settore giovanile. Secondo molte fonti, Duncan Edwards esordì in prima squadra addirittura a 16 anni (o comunque prima del compimento dei 17), diventando così il giocatore più giovane a vestire la maglia della prima squadra del Manchester United.

Dopo l’esordio per Edwards arrivarono successi, gloria e complimenti da parte di tutto il calcio inglese ed europeo: la maggior parte del pubblico e degli addetti ai lavori, infatti, si rese conto sin da subito di essere davanti a un vero e proprio fenomeno, tanto da ribattezzarlo nell’immediato con un nuovo soprannome. Stavolta ben più epico del precedente.

Nonostante l’esordio in prima squadra, Edwards non conquista subito il posto da titolare nel Manchester United, vista la folta concorrenza a centrocampo. Non a caso, infatti, nella stagione 1952-1953 il calciatore si concentrerà prevalentemente sui destini della squadra giovane, la quale vincerà il campionato anche (e soprattutto) grazie al suo prezioso contributo.

Nell’annata successiva però le cose cambiano in meglio per Big Dunc che, finalmente, riesce a scalzare quasi definitamente i calciatori della vecchia generazione per prendersi il suo posto nella mediana dei Red Devils. Al contempo, pur iniziando a giocare molto in prima squadra, ancora una volta il ragazzo si impegnerà con le giovanili, vincendo nuovamente il campionato.

The Greatest

Il terzo anno sembra essere finalmente quello buono per lui: Edwards diventa infatti un titolare inamovibile della squadra, lasciando definitivamente i più giovani colleghi. O almeno questo credeva, perché – in virtù della giovanissima età – lo United ne approfittò per schierarlo nuovamente nella finale del campionato giovanile (vinto per la terza volta nonostante le polemiche rivolte alla società e al ragazzo). Poco male, perché la carriera di Duncan Edwards – rinominato ora The Greatest – era ormai lanciatissima: ad appena 18 anni era il perno del centrocampo dello United ed era stato convocato nella Nazionale maggiore dei Tre Leoni.

La vera stagione della consacrazione fu però la 1955-1956: nonostante un violento attacco influenzale lo avesse tenuto fuori dal campo per un paio di mesi, Edwards tornò nel rettangolo di gioco più forte che mai e aiutò il Manchester United a vincere il campionato di First Division con ben 11 punti di distacco sulla seconda in classifica, il Blackpool. Si trattò del primo trofeo dei ragazzini terribili, destinati a dominare ancora in lungo e in largo l’Inghilterra.

Nell’annata successiva non solo Duncan Edwards vinse di nuovo il campionato con il Manchester United ma debuttò anche in Coppa dei Campioni, competizione nata l’anno precedente, regalando prestazioni straordinarie: i Red Devils – prima squadra inglese a partecipare al torneo – arriveranno fino alla semifinale ma il ragazzo stupirà tutta l’Europa con partite sontuose, tra cui quelle contro il Real Madrid, futuro vincitore del trofeo. Al termine della stagione, peraltro, Edwards fu anche considerato come papabile vincitore del Pallone d’Oro, classificandosi terzo nella graduatoria generale.

Durante l’estate, invece, si susseguono voci di mercato sul giovane talento: anche molte squadre italiane gli hanno messo gli occhi addosso. Nonostante questo interesse Edwards decide di restare ancora una stagione a Manchester: con la maglia dello United, adorata e vestita sin da piccolo, il ragazzo giocherà sia l’ultima gara in First Division (una vittoria contro l’Arsenal) che quella in Europa (3-3 in casa della Stella Rossa Belgrado, con qualificazione alla semifinale di Coppa dei Campioni, peraltro con doppietta di un giovane Bobby Charlton). Qualche giorno più tardi, la storia di Duncan Edwards avrebbe abbandonato costruzioni terrene, per sfiorare invece il mito vero e proprio.

La Superga d’Inghilterra

Dopo la gara di Coppa dei Campioni il Manchester United si preparava a tornare in patria su un aereo Airspeed Ambassador. Il viaggio proseguì fino a Monaco di Baviera, dove ci si fermò per uno scalo programmato. Nel momento di ripartire, però, l’aereo evidenziò problemi al motore e vennero fatti due tentativi di decollo a vuoto, mentre tutto era reso più difficile dalla fitta neve che si era depositata sulla pista scelta per la partenza.

Il terzo tentativo sembrò andare per il verso giusto ma, dopo pochi metri, l’aereo precipitò tragicamente schiantandosi su una casa poco distante dalla pista e provocando un esplosione che sventrerà il mezzo. Quella tragedia verrà ricordata in seguito come la più grande nella storia sportiva del Manchester United e del calcio inglese, nonché come la Superga britannica.

Nell’impatto persero la vita ben 7 calciatori del Manchester United. Tra loro non vi fu Duncan Edwards, il quale però riportò ferite molto gravi e venne dunque trasportato in ospedale. Il ragazzo inglese è vittima di una situazione gravissima, tanto è vero che i medici tedeschi gli faranno capire immediatamente che non potrà più giocare a pallone. Gli stessi dottori confidano di poterlo salvare ma la situazione si rivela anche più grave del previsto: l’inserimento di un rene artificiale a sostituzione di quello perso creerà emorragie interne e difficoltà di coagulazione.

Dopo un paio di settimane trascorse tra atroci sofferenze e speranze vane, Duncan Edwards muore il 21 febbraio del 1958 per insufficienza renale acuta. Testimonianze dei presenti raccontano come, durante una chiacchierata con l’assistente di Busby Jimmy Murphy, Edwards chiese a che ora iniziasse la partita di campionato contro il Wolverhampton, che non voleva assolutamente saltare.

Il decesso di Duncan Edwards e dei suoi compagni creò un forte senso di scoramento e scompenso nella comunità sportiva inglese. Il Manchester United – imbottito di ragazzini delle giovanili – chiuse quel campionato al nono posto e ci vollero anni prima che il club potesse sfornare una seconda generazione di Busby Boys. Edwards venne in particolare ricordato da colleghi e amici come uno dei calciatori più forti visti su un campo di pallone. In particolare, le testimonianze di Bobby Charlton e di Jimmy Murphy ancora oggi sono fonte di inarrivabile commozione per molti.

Duncan è stato l’unico calciatore che in vita mia fu in grado di farmi sentire inferiore: aveva un fisico imponente ed era un calciatore completo”, spiegò la leggenda del calcio inglese, ormai suo ex compagno di squadra. L’assistente, invece, spiegò anch’egli qualche anno più tardi: “Quando sento Alì dire che lui è il migliore di sempre onestamente mi viene da sorridere: il più grande di tutti fu un calciatore inglese, il suo nome era Duncan Edwards“.

Immortale, giovane per sempre, vincente di natura: Duncan Edwards sarebbe fiero della sua percezione. E magari il suo spirito, passeggiando tra i vicoli e gli omaggi della città, potrà rendersi conto che, a dispetto di una giovinezza tragica e fatale, il più grande del mondo forse lo è stato davvero.

“Anche se stai avendo una giornata da incubo, in cui niente va per il verso giusto, non smettere mai di cercare la palla. Alla fine tutto andrà nel verso corretto, perché il calcio è un gioco che ricompensa quelli che mostrano coraggio”.
Duncan Edwards, Tackle Soccer This Way

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