Il ritorno di Jonathan Calleri al San Paolo ha riportato in auge il vecchio tema delle TPO nel calcio, con il caso eclatante del Deportivo Maldonado
Pochi giorni fa Jonathan Calleri, attaccante argentino classe 1993, ha firmato un contratto che lo legherà al San Paolo per un anno e mezzo, con scadenza fissata a dicembre 2022. Per il ragazzo originario di Buenos Aires è un ritorno, visto che nel club paulista aveva già giocato nel 2016.
A richiamarlo nella grande metropoli sudamericana è stato Hernan Crespo, allenatore del Tricolor, alla ricerca di una punta che potesse garantirgli esperienza e qualche gol, aiutando la squadra anche e soprattutto in campo internazionale. Calleri ha accettato con entusiasmo: “Qui ho passato uno dei migliori momenti della mia carriera”, ha commentato dopo l’ufficializzazione.
🚨Principio de acuerdo entre #DeportivoMaldonado y #SaoPaulo por Jonathan Calleri.
📍Se suma a préstamo con opción de compra hasta Diciembre de 2022.
📌Si bien su intención era quedarse en Europa, la falta de ofertar hizo que retorne a 🇧🇷 pic.twitter.com/3hQS825L64
— Germán García Grova (@GerGarciaGrova) August 30, 2021
Jonathan Calleri, una storia di mercato
La storia di Jonathan Calleri comincia nella capitale argentina, quando l’attaccante si mette in mostra molto giovane nel settore giovanile dell’All Boys. Dopo un anno in prima squadra, il Boca Juniors lo acquista e lo tiene in rosa, per poi cederlo al Deportivo Maldonado.
Se non avete mai sentito parlare di questo club non preoccupatevi, è normale: infatti, il Batacazo non è nemmeno molto famoso in patria, in Uruguay, dove le squadre blasonate sono ben altre. Eppure ancora oggi Calleri è di sua proprietà: nel frattempo, l’ex Boca Juniors ha girato mezza Europa, arrivando a giocare anche in Spagna e in Inghilterra.
West Ham, Las Palmas, Alaves, Espanyol e Osasuna, un anno dopo l’altro con trasferimenti che, in parallelo, smuovevano soldi anche in Sudamerica. Cambi di maglia visti sportivamente come la voglia di rimettersi in discussione, ma che in realtà sono sempre stati propedeutici a ingrassare le tasche dei soliti noti.
Relembre os gols de Calleri com a camisa do Tricolor!
Qual o seu preferido? ⚽▶️ https://t.co/iNncIcTHqw#VamosSãoPaulo 🇾🇪 pic.twitter.com/qrHXBuPSdH— São Paulo FC (@SaoPauloFC) September 1, 2021
Deportivo Maldonado e TPO: una storia decennale
Infatti, nel 2010 il Deportivo Maldonado venne acquistato da Malcom Caine, un manager inglese che viene spedito in Uruguay per investire soldi provenienti dalle case del fondo di investimento Stellar Group, lo stesso che – per intenderci – veicolò anni fa il trasferimento di Gareth Bale al Real Madrid.
Perché proprio a Montevideo? Il motivo è molto semplice: l’Uruguay, ancora oggi, è uno dei paradisi fiscali più ricercati e sfruttati al mondo. Così il Maldonado è diventata una sorta di società ponte, che ha permesso di far girare soldi grazie a un escamotage che impedisce alla FIFA di intervenire.
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La partecipazione dei TPO nelle società di calcio è infatti vietata: per questo, come in questo caso, si usano veri e propri intermediari, formalmente proprietari ma in realtà semplice esecutori delle volontà del fondo in questione.
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Un vero paradosso di mercato
E qui si verifica un vero e proprio paradosso: infatti, Jonathan Calleri non ha mai nemmeno giocato un minuto con la maglia del Maldonado. E, come lui, anche Alex Sandro, Willian José, Allan, Ivan Piris e Marcelo Estigarribia non hanno mai indossato i colori rossoverdi. Nonostante ciò, il club in questi anni ha incassato una montagna di soldi.
Come il Depor, anche altre società in Uruguay hanno ancora oggi la funzione di tramite per operazioni finanziarie decisamente opache. Boston River, che fino a qualche tempo fa non aveva nemmeno una sede fisica a Montevideo, Sud America e Fenix hanno infatti a loro volta diverse TPO che operano nelle retrovie.
Nel caso del Sud America, fece scalpore qualche anno fa la situazione legata al trasferimento di Pablo Osvaldo dal Boca Juniors al Porto, una triangolazione che fece risparmiare milioni in tasse che altrimenti sarebbero dovute finire nelle casse del fisco argentino. E la FIFA, inerme, continua a guardare.
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