De Bruyne fa discutere per una risposta non proprio cortese al giornalista Tancredi Palmieri, ma la retorica sulla generazione d’oro del Belgio ha stancato.
Un calciatore che risponde come De Bruyne alla domanda legittima di un giornalista non è certo una bella immagine, ma forse bisognerebbe riflettere anche sul problema a monte: nel 2024 c’è ancora chi parla della “golden generation” del Belgio e del suo romantico fallimento. Succede a ogni torneo, da qualche anno: gli stessi discorsi si erano già fatti dopo l’eliminazione con l’Italia allo scorso Europeo, e poi di nuovo ai Mondiali del 2022, quando i belgi uscirono ai gironi dietro a Marocco e Croazia. Parte della risposta a questa narrazione stantia l’ha già data in realtà lo stesso De Bruyne: Germania, Inghilterra e Francia non hanno forse avuto pure loro delle generazioni d’oro? Il Belgio in questi non si è certo trovato a competere con il nulla.
Basta guardare proprio queste ultime tre eliminazioni di cui si è parlato: nel 2021 contro la squadra che ha poi vinto l’Europeo; nel 2022 contro quelle che sarebbero poi arrivate terza e quarta al Mondiale; ieri contro la Francia vice campione del mondo in carica. Nel 2014, la sconfitta arrivò contro l’Argentina, poi finalista; nel 2018, contro la Francia, che poi vinse il titolo. Bisogna risalire agli Europei del 2016 per vedere il Belgio eliminato da una squadra sulla carta realmente più debole, cioé il Galles di Gareth Bale. Per quanto la sensazione generale sia che i Diables Rouges hanno ottenuto meno di quanto potevano, stiamo comunque parlando del periodo con i maggiori risultati dell’intera storia della selezione belga. Se non ci fosse stato il cervellotico meccanismo del ranking FIFA, che per anni ha tenuto il Belgio ai vertici (teorici) del calcio globale, queste discussioni non verrebbero nemmeno fatte.
De Bruyne e la generazione d’oro del Belgio: un mito vero solo in parte
Parlare della generazione d’oro del Belgio oggi sembra davvero un discorso fuori tempo massimo: di quella squadra, nella selezione portata in Germania da Domenico Tedesco, rimangono sostanzialmente quattro giocatori (Vertonghen, Witsel, De Bruyne e Lukaku). Quella che abbiamo visto in campo è una squadra completamente diversa, che ha ormai un ben avviato progetto di rinnovamento, in cui elementi come Doku, De Ketelaere, Onana, Tielemans, ukabakio e Openda saranno i perni del futuro.
Ma anche quello della storica “golden generation” belga è un mito che è stato gonfiato ben oltre le sue reali potenzialità, probabilmente. Al netto di alcuni indiscussi giocatori di grande qualità (Courtois, Hazard, De Bruyne, Lukaku), il Belgio ha prodotto principalmente talento in attacco, e molto poco in difesa. Il blocco arretrato si è sempre retto su giocatori molto esperti come Vermaelen, Alderweireld e Vertonghen (non a caso richiamato ancora oggi per tappare i buchi in un reparto qualitativamente inferiore rispetto agli altri). I Diables Rouges si sono ritrovati spaccati tra due mezze generationi d’oro, una che ha prodotto giocatori difensivi e una che ne ha invece prodotti solamente offensivi, e non è mai riuscita a trovare il giusto equilibrio tra queste due anime.