La Copa America 2021 ha molti tratti d’unione con quella di tre anni fa: tra questi, il fatto che in semifinali ci sono arrivati gli stessi allenatori del 2019
Lo scenario è sempre lo stesso, i protagonisti anche. La fase finale della Copa America 2021 assomiglia molto a quella del 2019, perché a tre anni di distanza a giocarsi il titolo sono, pressappoco, sempre gli stessi. Tre squadre su quattro, nello specifico Perù, Brasile e Argentina, hanno emulato il percorso dell’edizione precedente arrivando alle semifinali.
Lo hanno fatto guidati dagli stessi commissari tecnici di tre anni fa: Ricardo Gareca, Tite e Lionel Scaloni. Tutti, a loro modo, vittime di critiche per le rispettive gestioni a livello di convocazioni, eppure sempre lì, tra i migliori del continente. Il quarto è Reinaldo Rueda: nel 2019 arrivò alle semifinali con il Cile, oggi guida la Colombia e il risultato è sempre lo stesso.
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Tite e Scaloni, i favoriti
In mezzo a una pandemia che ha letteralmente devastato un intero continente, Brasile e Argentina hanno grosse possibilità di giocarsi la Copa America nella finalissima del Maracana. Sarebbe stato bello, eventualmente, vedere lo stadio pieno, ma non essendo possibile ci si dovrà accontentare dei contenuti evidenziati dal campo.
Tite a oggi è uno dei migliori ct al mondo e se il Brasile è tornato a essere dominante, lo si deve soprattutto a lui e alle sue scelte. Di recente è stato criticato per alcune esclusioni e per la posizione presa, anzi non presa, contro le follie decisionali del governo Bolsonaro. In campo però la sua Seleçao è gioia pura, strizza l’occhio alla qualità e pratica un gioco offensivo ma anche efficace.
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Contrariamente al passato, quello che ha permesso a Scaloni di sedersi sulla panchina dell’Argentina per mancanza di alternative. Lui, uomo federale, ha cominciato nel post Sampaoli e la prima vicenda da affrontare fu il presunto addio alla nazionale di Messi. Ha rimesso assieme i pezzi, lanciato diversi giovani, rispolverato calciatori fuori dal giro e, soprattutto, organizzato una squadra anarchica.
Lo show di Gareca
Quando Ricardo Gareca prese in mano il Perù in pochi credevano che sarebbe stato in grado di rivitalizzare una nazionale vecchia e ancora aggrappata alle gesta dei cosiddetti ‘Fantastici 4’, ovvero quel gruppo di giocatori – composto da Guerrero, Farfan, Zambrano e Pizarro – che hanno rappresentato un po’ la generazione più talentuosa in epoca moderna.
Invece, con pragmatismo e organizzazione, il Perù se non altro si è tolto qualche soddisfazione, arrivando due volte in semifinale di Copa America e qualificandosi, dopo una clamorosa rimonta, per Russia 2018. Il ricambio generazionale non è avvenuto perché manca la materia prima, così Gareca ha optato per un’altra strada.
https://www.youtube.com/watch?v=wgZb9BVu8pY
Ovvero, cementificare un gruppo pronto sempre per la battaglia, come confermato dallo stesso ct in una conferenza stampa carichissima di qualche giorno fa: “Ormai c’è questa credenza diffusa che i tornei brevi si vincano con i campioni – ha detto – invece contano l’unione, la forza e lo spirito collettivo”. Basteranno per battere il Brasile?
La Copa America di Rueda
Partito un po’ a rilento con la sua Colombia, Reinaldo Rueda è riuscito – mattone dopo mattone – a mettere insieme un cammino accettabile, non brillando per il gioco proposto ma rendendo efficace ogni situazione a proprio vantaggio.
I Cafeteros, proprio come il Cile di tre anni fa, sono un squadra tosta, battagliera, forgiata su un lavoro profondo a livello motivazionale. La qualità non manca, ma non è essenziale: per questo motivo, per esempio, nella Colombia non ha trovato spazio James Rodriguez.
Qualcuno ha storto il naso, ma di Rueda ci si fida. Giustamente, visto che nel recente passato, proprio in Colombia, ha vinto quattro titoli nazionali più una Copa Libertadores e una Recopa Sudamericana, tutte alla guida dell’Atletico Nacional. Ora, con la nazionale, proverà a scrivere l’ennesima impresa in carriera.
https://www.youtube.com/watch?v=iUKQP_GDJ5k
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