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Il confronto Superlega-NBA è il più diffuso nei discorsi di media e tifosi, ma è davvero così? Proviamo ad analizzare i due tornei e dare una risposta

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È il paragone più in voga in queste ore, quello tra la nuova Superlega del calcio e la NBA del basket statunitense. Quest’ultimo è forse il torneo sportivo più famoso e ricco al mondo, ed è facile comprendere come i club di calcio siano attirati dal suo potenziale economico, al punto da volerlo emulare.

Tuttavia, il modello NBA (che poi non è molto diverso da quello della NFL, anch’essa spesso usata come metro di paragone) è molto lontano da quello della Superlega, per motivazioni culturali, storiche e anche strutturali, e il confronto tra i due tornei è molto strumentale, dovuto più che altro alle esigenze pubblicitarie dei 12 fondatori della nuova competizione del calcio europeo. Vediamo perché.

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Superlega-NBA, le differenze storiche e culturali

Per iniziare a capire la differenza tra Superlega e NBA bisogna guardare la storia del campionato di basket nordamericano. La NBA nasce nel 1946 in opposizione alla NBL, che esisteva dal 1937, che però era un torneo abbastanza simile come struttura: entrambi raggrupavano alcune delle migliori squadre di basket degli Stati Uniti, sparse in maniera disomogenea su un territorio vastissimo.

Il suo modello incarna la tradizione dello sport americano, molto diverso da quello europeo. Qui c’è da sempre una predominanza delle squadre e dei tornei locali, che precorrono quelli internazionali di diversi decenni: per capirci, la Serie A nasce nel 1898 e assume la sua forma moderna nel 1929; la Coppa dei Campioni, antesignana della Champions League, nasce solo nel 1955.

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Se, negli Stati Uniti, la NBA ha plasmato il sistema del basket professionistico, in Europa la Superlega dovrebbe innestarsi su un sistema del calcio legato a tradizioni locali più forti. La rivalità tra Juventus e Torino, al di là del valore tecnico delle due squadre, non è comparabile con quella che potrebbe esserci tra Juventus e Real Madrid, nonostante l’evidente valore competitivo più alto di quest’ultimo.

Superlega-NBA: le differenze strutturali

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Questo è l’aspetto meno romantico, ma più cruciale. Innanzitutto, l‘Europa è il mondo dei club sportivi, mentre il Nordamerica è quello delle franchigie: non esistono veramente i Los Angeles Lakers; esistono i Lakers, una società di basket che per il momento ha sede a Los Angeles, ma che potrebbe andarsene quando vuole e per qualsiasi motivo (infatti, fino al 1959 stavano a Minneapolis, a quasi 3.000 km di distanza).

La NBA, essendo un torneo a partecipanti più o meno fisse e senza retrocessioni, ha dovuto implementare una serie di accorgimenti per evitare che le squadre più ricche creassero un margine incolmabile con le altre, minando la competitività e la bellezza del torneo. Per queso motivo esistono il salary cap, ovvero una limitazione a quanto una franchigia può spender in stipendi per i giocatori, e il Draft, un sistema che permette alle squadre più deboli di assicurarsi i migliori giovanie riequilibrare i valori.

Il salary cap è un argomento di cui si è spesso discusso anche nel calcio, e su cui in linea teorica i club potrebbero anche essere d’accordo, visto che consentirebbe di limitare le spese per gli stipendi, da sempre in crescita. Tuttavia, bisogna vedere se i giocatori accetteranno: nel basket USA non esiste alternativa alla NBA, per un cestista; in Europa, l’alternativa alla Superlega sarebbero gli altri club della Champions League, come PSG e Bayern Monaco. Inoltre, non dimentichiamoci le polemiche dei club attorno al Fair Play Finanziario, che è stato un primo tentativo di imporre un tetto di spesa nel calcio europeo.

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Se il salary cap è molto difficile da applicare, il Draft è impossibile. Il basket americano non prevede settori giovanili, ma un torneo universitario dilettantistico da cui pescare i migliori giocatori. Nel calcio europeo una cosa del genere è impensabile: anche club che appoggiano la Superlega, come il Barcellona, sarebbe contrari a cancellare i vivai. In più, nel calcio si diventa professionisti molto prima di terminare gli studi universitari (si guardi a Bellingham, Haaland, Foden, eccetera), tanto che i giovani talenti del calcio statunitense lasciano il paese per venire in Europa a nemmeno 20 anni, per esordire prima.

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