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Il protagonista odierno della rubrica “Che fine ha fatto” è un fiore mai sbocciato, un giovane viaggiatore itinerante che ha dato il meglio di sé solo quando è tornato in patria: Marco Van Ginkel.

Centrocampista dai piedi buoni, Van Ginkel è una di quelle numerose promesse olandesi che vorrebbe conquistare l’Europa grazie alla classe e al talento. Cresce nelle giovanili del Vitesse per poi esordire in prima squadra quando ancora è minorenne. Sono anni in cui il club giallonero si accontenta di salvezze poco prestigiose, spesso ottenute nelle ultime giornate. L’esplosione del giovane Van Ginkel coincide con un settimo e un quarto posto che riporta gli olandesi a giocare l’Europa League a dieci anni dall’ultima volta. Nella stagione 12/13, le ottime prestazioni condite da 11 goal, di cui 3 in EL, convincono il Chelsea ad acquistare il calciatore per una cifra intorno ai 10 milioni di euro. L’avventura di Van Ginkel in Inghilterra è segnata sin da subito da un grave infortunio al ginocchio. Fa giusto in tempo a collezionare due gettoni in Premier League e a debuttare in Champions contro il Basilea, poi nella gara contro lo Swindon Town, valevole per la Coppa di Lega, una zolla lo condanna all’infermeria fino a fine stagione. Non indosserà mai più la maglia del Chelsea pur rimanendo un tesserato per sette anni

L’anno seguente i Blues cedono Van Ginkel in prestito al Milan. Suo malgrado, il centrocampista si trova catapultato nel periodo più oscuro e decadente della gloriosa era Berlusconi e milita in una delle squadre peggiori dell’intera storia rossonera. Le incomprensioni tattiche con Pippo Inzaghi, bandiera prestata alla panchina in assenza di fondi, fanno il resto. L’unico momento memorabile di Van Ginkel è il goal contro la Roma a San Siro in una partita decisa dal goal dell’ex di Mattia Destro. Il Milan chiude il campionato al decimo posto (peggior piazzamento dalla stagione 97/98) e il centrocampista torna a Londra tra l’indifferenza generale. 

L’anno seguente è il turno di un altro prestito, questa volta la destinazione si chiama Stoke City. L’avventura è tutt’altro che memorabile, tanto che a gennaio il club decide di interrompere in anticipo il rapporto con il calciatore. Chiusa una porta, si apre un portone olandese dal grande prestigio: il PSV Eindhoven. Qui Van Ginkel mette in mostra tutte le sue qualità come non accadeva dai tempi del Vitesse. Nei primi sei mesi segna otto goal in tredici partite e contribuisce a uno scudetto conquistato all’ultima giornata. 

Van Ginkel: ti perdi se ti presto

Nei successivi due anni il PSV si assicura ancora le prestazioni di Van Ginkel in prestito e lui ringrazia guidando la squadra verso un altro scudetto, il ventiquattresimo. In due stagioni e mezzo sigla ventinove reti in Eredivisie, trentuno se si considerano tutte le competizioni. È per distacco il miglior periodo della carriera di Van Ginkel.

Nel frattempo però il ginocchio non gli dà pace e una volta tornato al Chelsea decide di operarsi: è l’inizio di un calvario interminabile. Una concatenazione di disavventure (complicazioni, infezioni, altre operazioni) culminata in una brutta depressione lo tiene lontano dai campi per un totale di due anni e otto mesi. In soccorso gli viene ancora una volta il PSV, questa volta a titolo definitivo. Il lungo periodo di inattività si fa sentire e Van Ginkel non riesce più a esprimersi ai livelli degli ultimi due scudetti del club. Ciò nonostante arricchisce la sua bacheca personale con una Coppa e una Supercoppa d’Olanda. 

Il cerchio si chiude con il passaggio al Vitesse, squadra che lo ha cresciuto, coccolato e supportato sin da quando era un bambino. L’esperienza con i gialloneri è terminata qualche settimana fa, con diciotto punti di penalizzazione e un ultimo posto in campionato a causa di gravi problemi finanziari. Non la storia d’amore più felice del mondo. 

Da poche settimane Van Ginkel è alla ricerca di una nuova squadra con cui vivere una seconda giovinezza, magari più fortunata e in salute della prima. A 31 anni e mezzo ha tutto il tempo per regalarsi un’esperienza ricca di soddisfazioni e sfatare quell’etichetta di “meteora” che il calcio europeo gli ha affibbiato senza che ne avesse particolari colpe. 

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