Il 28 novembre 2016 la Chapecoense, impegnata nella trasferta di Medellin, venne coinvolta in un incidente aereo mortale. Come sta oggi il club catarinense?
A metà settembre la Chapecoense ha vinto il suo settimo campionato statale di Santa Catarina, a tre anni dall’ultimo trionfo tra i confini della propria regione. Il successo precedente aveva rappresentato un po’ un passaggio di consegne, perché a vincerlo fu una squadra costruita completamente da zero. Erano infatti passati pochissimi mesi dalla tragedia di Medellin.
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Una serata tragica, la più buia per il Sudamerica dai tempi dello schianto dell’aereo dell’Alianza Lima avvenuto a fine anni Ottanta, che aveva cancellato interamente l’identità del colosso peruviano. Quella notte del 28 novembre la Chapecoense stava recandosi in Colombia per giocare la finale di Copa Sudamericana, ma il velivolo che trasportava squadra staff e giornalisti a Medellin non atterrerà mai.
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Non lo farà, ma finirà la sua inesorabile discesa sulla collina che, dall’alto, introduce all’arrivo in una delle città colombiane più caratteristiche di tutte. Un guasto tecnico, diranno mesi dopo le indagini degli inquirenti, dovuto al malfunzionamento meccanico dell’aereo, la cui manutenzione – evidentemente – aveva palesato qualche problema non preso in esame dai meccanici della compagnia.
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Chapecoense, un brutto scherzo del destino
La Chapecoense avrebbe, di lì a poco, giocato la sua prima finale internazionale, affrontando uno dei colossi sudamericani per antonomasia. E lo avrebbe fatto dopo aver passato la semifinale per un nulla; infatti, nel match di ritorno contro il San Lorenzo, il Ciclon andò vicinissimo a beffare i catarinensi. Nei minuti di recupero, Nicolas Blandi ha avuto la palla della qualificazione a pochi centimetri dalla porta spalancata.
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Il bomber del San Lorenzo non è solito sbagliare certe occasioni, ma quella volta fallì calciando addosso al portiere brasiliano Danilo. Chi avrebbe mai potuto immaginare che un momento di gioia avrebbe fatto da preludio alla tragedia. Di lì a qualche giorno, il volo LaMia 2933 andrà a schiantarsi appena passati i confini colombiani, proiettando – seppure tristemente – la Chapecoense nella storia.
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La rinascita dei sopravvissuti
Alan Ruschel è uno dei sei (su 77) sopravvissuti al disastro aereo. Secondo le ricostruzioni dell’epoca, il difensore della Chapecoense ha avuto la fortuna di trovarsi in coda al velivolo, seduto a fianco del compagno e amico Jackson Follman. Se Ruschel, dopo un po’ di tempo, è riuscito a tornare in campo e oggi è il capitano della Chape, l’ex secondo portiere ha voluto complimentarsi con lui via social.
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“Te lo meriti fratello, alza quel trofeo: è tutto tuo” ha scritto Follman su Instagram un paio di mesi fa, postando una foto con l’amico e un’altra istantanea che lo riprende mentre si allena per le Paralimpiadi. Il terzo sopravvissuto tra i calciatori, Neto, era invece in campo nella trasferta di Torino: i granata, uniti dal destino con la Chapecoense, organizzarono una partita amichevole, devolvendo il ricavato in beneficenza.
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Ripartire non è stato facile
Ricominciare dopo il disastro aereo del 2016, però. non è stato affatto semplice. La Chapecoense, nonostante l’aiuto di tutti i club brasiliani – alcuni hanno prestato calciatori gratuitamente, altri hanno annullato i debiti maturati negli anni prima per gli affari di mercato – e l’idea della federazione locale di bloccare loro per tre anni la possibilità di retrocedere, ha avuto diversi problemi.
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Al primo anno, nonostante la qualificazione in Copa Libertadores, i problemi economici stavano devastando i conti di un club ormai disastrato. E, dopo due salvezze consecutive, è arrivata la retrocessione. “Quando siamo ripartiti – disse il presidente Paulo Magro qualche tempo fa – non sapevamo come sarebbe andata. Ci hanno offerto tanti aiuti ma non li abbiamo accettati: questa è terra di gente che lavora sodo, nessuno ci ha mai regalato nulla“.
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L’Arena Condá, lo stadio di casa della Chapecoense, intanto è diventato un luogo di culto. Chi passa di lì lascia un fiore o si ferma a pregare, riflettendo sul fatto che la vita, fondamentalmente, troppe volte non viene vissuta come andrebbe fatto: “È questo il grande insegnamento – ha raccontato Ruschel – l’incidenti mi ha fatto capire che anche dieci minuti possono cambiarti la vita”. Per questo va vissuta fino in fondo, amando chi c’è e nella memoria di chi non ce l’ha fatta.
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