Il cambio di allenatore rappresenta una piccola svolta per il Celta, club storico del calcio spagnolo che ha passato gli ultimi anni a lottare per la salvezza
La vittoria in casa dell’Athletic a cinque giorni dal successo di Balaidos ai danni del Granada hanno portato il Celta fuori dalla zona pericolante della classifica di Liga. Nella quale, solo una decina di giorni fa, i galiziani languivano mestamente all’ultimo posto.
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Poi c’è stata la svolta: il vulcanico presidente Carlos Mouriño ha dato il benservito a Oscar Garcia e chiamato al capezzale del club Eduardo Coudet, uno degli allenatori emergenti del panorama sudamericano che, di punto in bianco, si è trovato a ereditare una delle panchine più bollenti d’Europa.
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Infatti, negli ultimi 8 anni il Celta ha cambiato la bellezza di altrettanti allenatori. La media di uno all’anno, ma sempre perennemente in discesa sin dai tempi della separazione con Luis Enrique. Dopo Lucho, che lasciò lasciando la squadra in Europa League, a Vigo non hanno più trovato pace. A tal punto che, nelle ultime stagioni, il Celta ha sempre e solo lottato per mantenere la categoria.
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Il forte impatto di Coudet al Celta
Il nuovo Celta ruota interamente attorno alla figura di Chacho Coudet. Classe 1974, argentino dei sobborghi di Buenos Aires, ha passato una grossa parte della sua carriera a smistare palloni nel centrocampo del River Plate. Calciatore nella media, nel 2010 – dopo un’esperienza in NASL – ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo e di intraprendere la carriera di allenatore.
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In Argentina ha trovato subito un incarico importante, al Rosario Central, club col quale è arrivato due volte vicino a vincere un titolo, perdendo però in entrambi i casi. Le prestazioni del Canalla non sono passate inosservate: un calcio moderno, energico, improntato su produzione offensiva e palleggio ossessionato – per informazioni chiedere a Marco Ruben, bomber di quel Central – convinse gli Xolos messicani a regalargli un’occasione.
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In Messico non andò bene, ma al Racing sì: la rivoluzione di Coudet attecchì subito e il Racing, dopo anni, tornò a vincere campionato e supercoppa. Se la palla l’abbiamo noi, difficilmente perdiamo: è questo il concetto base del calcio pensato da Coudet, che al Celta – dopo aver rimesso in sesto anche l’Internacional di Porto Alegre – ha avuto un impatto immediato.
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Una nuova maniera di giocare
Il Celta è cambiato perché Coudet ha imposto ritmi e dettami completamente nuovi rispetto a quelli dei suoi due predecessori. Se la squadra allenata da Fran Escribà faticava a produrre azioni da gol e quella di Oscar Garcia ne subiva troppi, Chacho sembra aver trovato una buona via di mezzo. In fase di possesso, il Celta attacca con tantissimi uomini nella metà campo avversaria.
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L’esempio su ciò che viene chiesto ai galiziani in campo si è visto proprio contro l’Athletic, con l’azione del gol di Hugo Mallo, un terzino, arrivata dopo una serie fittissima di passaggi e la finalizzazione del veterano celtista che aveva seguito il giro palla sin dal principio. Dalla panchina si sono sprecati applausi, dopo le reprimende della prima parte in cui la squadra aveva concesso troppo.
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La crisi societaria frena le ambizioni
Il tassello Coudet va però a inserirsi in un contesto abbastanza delicato. Il Celta Vigo, nonostante le dichiarazioni di facciata del suo presidente, non se la passa benissimo. Per svoltare dalle ultime mediocri stagioni la dirigenza, nel 2019, aveva imbastito la cosiddetta ‘Operacion Retorno’, una sessione di mercato improntata nel riportare in Galizia i tanti talenti usciti dal vivaio.
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Idea affascinante, che però non sembra essersi rivelata anche vincente. Coudet ha però la preparazione per inserire al meglio in un undici titolare tutto ciò che il club gli ha messo a disposizione. Il 4-1-3-2 è un modulo che Chacho si è portato dietro dalle precedenti esperienze e per ora ha dato buone risposte.
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La chiave, quella sì, rimane sempre Iago Aspas, capitano e leader carismatico di un Celta che, almeno sulla carta, avrebbe le potenzialità per poter inserirsi nella lotta per l’Europa. Ma che, depotenziata dal contesto societario, troppo spesso si ritrova a gestire situazioni di classifica estreme. Cambiare radicalmente potrebbe aver fatto bene. La rivoluzione sta iniziando.
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