Il calcio italiano continua la sua crisi, mascherata appena dall’Europeo ma ritrovata nelle coppe europee, come dimostra l’eliminazione della Juventus.
Siamo ancora lì, fermi al cosiddetto anno zero, quello in cui bisogna progettare una ricostruzione e capire come uscire dalla crisi. La parola chiave, però, non è “anno zero”, ma “ancora”: perché questa pare la situazione in cui eravamo fermi nel 2018, dopo l’eliminazione dai Mondiali allo spareggio con la Svezia.
Poi è arrivato Mancini, è arrivata la finale di Europa League dell’Inter di Conte, e la conquista degli Europei della scorsa estate, che ci ha fatto credere di essere all’uscita dal tunnel. E invece era un’illusione, perché oggi, all’indomani dell’inspiegabile eliminazione della Juventus dalla Champions League contro il Villarreal (e dopo una ricca campagna acquisti di gennaio), il calcio italiano sembra essersi ritrovato dove stava quattro anni fa, con lo spettro di un imminente spareggio mondiale attorno al quale c’è ben poca fiducia.
Zero progettualità
Se sono i club a dettare la linea dello stato del calcio italiano, appare evidente che ci troviamo ancora in una fase di rifondazione. Per motivi non sempre volontari, le big della Serie A stanno ancora tutte in un fase “adolescenziale”, se non “infantile” della loro crescita: la Juventus ha deciso, per l’ennesima volta, di cambiare allenatore, poi ha venduto la sua stella (Ronaldo) e, mesi dopo, l’ha finalmente rimpiazzata con Vlahovic. Ma non è l’unica in questa situazione.
L’Inter è stata costretta, per ragioni economiche, a rinunciare ai tre perni del suo successo dello scorso campionato: Conte, Hakimi e Lukaku. La formazione nerazzurra sembrava la più accreditata per sviluppare in tempi brevi un progetto in grado di competere a livello di gioco e risultati sui maggiori palcoscenici internazionali, ma dalla scorsa estate ha dovuto di nuovo ricominciare (quasi) da capo. Rifondazione come quella in cui è impegnata la Roma, affidatasi in estate a Mourinho e Abraham, e a dicembre già si discuteva di mandare tutto all’aria e cambiare allenatore.
Solo il Milan ha un progetto già avviato, che si sta concentrando sui giovani e in questa annata è tornato a giocare in Champions League. Ma il progetto rossonero mostra, come gli altri delle grandi del calcio italiano, alcuni limiti dovuti a frequenti intoppi: gli addi di Donnarumma e Calhanoglu, quello imminente di Kessie (tutti a parametro zero). Maldini e Pioli sanno facendo i miracoli per tenere in piedi un progetto che ogni anno deve rimandare il definitivo salto di qualità a causa della continua perdita di alcuni tasselli fondamentali.
Il calcio italiano aggrappato a Mancini
Oggi, la Serie A esprime un calcio senza big, ma solo con aspiranti tali (consideriamo anche l’Atalanta, forse giunta alla fine del suo primo ciclo; la Fiorentina che riparte da Italiano e dopo sei mesi perde Vlahovic; il Sassuolo che da quest’anno ha un nuovo allenatore, ma in estate saluterà tanti pezzi pregiati; la Lazio che punta su Sarri, ma non può fare mercato). Tutto si ritrova di nuovo nelle mani di Roberto Mancini.
Tra una settimana, l’Italia affronterà la Macedonia del Nord nel primo spareggio per Qatar 2022, e in caso di vittoria dovrà vedersela, cinque giorni dopo, con una tra Portogallo e Turchia per staccare il pass definitivo per il Mondiale. Tutto, per il calcio italiano, sembra passare da qui.
Ma ancora una volta questo momento sembra aver assunto un valore simbolico necessario a salvare la faccia a tutti. Andare al Mondiale non risolverà i problemi, che non sono meramente economici (il Villarreal e il PSG dimostrano, per due motivi diversi e opposti, che i soldi non sono tutto), ma soprattutto di visione. Il nostro calcio pare ancora intrappolato in un loop, e non ha alcuna idea seria per uscirne; semplicemente, si spera cristianamente in un miracolo, in una salvezza che arriva dall’alto, indipendentemente dalle nostre azioni.
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