La Shoah ha colpito anche il mondo del calcio: numerosi giocatori e allenatori ebrei furono internati nei campi di concentramento nazisti. Oggi, nella Giornata della Memoria, è doveroso dedicare loro un ricordo.
La tragedia della Shoah non ha purtroppo lasciato indifferente il mondo del calcio. Negli anni Trenta, l’epoca d’oro del calcio mittel-europeo, diverse squadre di calcio in Germania, Austria e Ungheria erano state fondate da ebrei: il Bar Kochba Berlin, l’Hackoah Vienna, il Hasmonea Lwow, e tante altre ancora.
I calciatori e gli allenatori ebrei erano, ormai da almeno vent’anni, tra i migliori del mondo, e il loro apporto era particolarment evidente nell’ambito del calcio ungherese, che aveva una delle più forti nazionali dell’epoca. Molti di questi atleti, anni dopo, finirono nei campi di concentramento nazisti, e alcuni non tornarono più.
La tragica vicenda di Arpad Weisz
Quella di Weisz è sicuramente la storia più nota, in Italia, che riguardi il calcio e la Shoah. Negli anni Trenta, era probabilmente il miglior allenatore del mondo: dopo una brillante carriera da giocatore interrotta anzitempo, Weisz aveva guidato l’Inter a vincere il primo campionato a girone unico nel 1929; aveva poi allenato Bari e Novara, e nel 1935 era approdato al Bologna. Il tecnico ebreo-ungherese trasformò i rossoblù nella squadra più forte d’Italia, vincendo due campionati e conquistando il torneo dell’Expo di Parigi, travolgendo in finale il Chelsea.
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Nel 1939, con l’approssimarsi della guerra, Weisz e la sua famiglia abbandonarono l’Italia per riparare in Olanda, un paese neutrale, dove lui finì ad allenare il Dordrecht. Ma la Germania Nazista invase i Paesi Bassi, i Weisz furono arrestati e deportati ad Auschwitz, dove trovarono la morte pochi anni dopo.
La storia di Weisz fu dimenticata e nessuno seppe più nulla di lui fino a che, nel 2007, Matteo Marani non indagò e pubblicò il libro Dallo scudetto ad Auschwitz. Oggi, ad Arpad Weisz è dedicata la curva Maratona dello stadio Dall’Ara di Bologna; targhe commemorative sono poste nei pressi degli stadi Meazza di Milano e Piola di Novara, e a Bari gli è stata intitolata una via nei pressi dello stadio San Nicola.
Gli altri campioni ebrei dimenticati
Tante, però, sono le storie rimaste quasi sconosciute, seppellite sotto la tragedia della Shoah. Uno dei primi noti calciatori a morire nei campi di concentramento nazisti fu Jozef Klotz, difensore del Jutrzenka, celebre per aver segnato, il 28 maggio 1922, la prima rete della storia della nazionale polacca, in amichevole contro la Svezia. Con l’invasione tedesca della Polonia, fu imprigionato e infine assassinato nel ghetto di Varsavia, nel 1941.
Un altro suo connazionale, Leon Sperling, era ebreo, ed fu probabilmente il primo grande campione del calcio polacco, vestendo la maglia del KS Cracovia, con cui vinse tre campionati negli anni Venti. I nazisti lo trasferirono nel ghetto di Lwow (Leopoli, oggi in Ucraina), dove morì nel 1941.
In attesa mi presento. Mi chiamo Eddy Hamel e sono nato a New York City nel 1902. I miei genitori, olandesi, si erano trasferiti ad Amsterdam quando io ero ancora piccolo.
E’ trai suoi canali che ho cominciato a tirare calci ad un pallone. pic.twitter.com/kMnkNsIN3G— Johannes Bückler (@JohannesBuckler) February 5, 2020
Tra le vittime della Shoah del calcio si conta anche l’austriaco Otto Fischer, che per un breve periodo fu allenatore del Napoli: fu tra i circa 6mila ebrei massacrati nel 1941 nel ghetto di Liepaja, in Lituania. E poi Joszef Braun, attaccante e poi allenatore del MTK Budapest, arrestato a Bratislava e trasferito nel campo di concentramento di Charkiv, in Ucraina, dove morì nel 1943. Julius Hirsch, tedesco ed ex-giocatore di Karlsruher e SpVgg Fürth, anche lui morto ad Auschwitz; Antal Vago, difensore del MTK Budapest negli anni Dieci, la cui fine resta ignota, anche se l’ipotesi più accreditata è che sia stato giustiziato con un colpo di pistola alla nuca e gettato nel Danubio.
Tra queste, c’è anche la storia di Edde Hamel, il primo calciatore internazionale statunitense, che durante l’adolescenza si era trasferito ad Amsterdam ed era divenuto, negli anni Venti, un’eccellente ala destra nel primo Ajax di Jack Reynolds. Dopo il ritiro rimase a vivere in Olanda, e fu poi catturato dai Nazisti durante l’occupazione: il suo passaporto statunitense fu ritenuto falso e, invece di venire espulso dal paese, venne mandato ad Auschwitz, dove trovò la morte nel 1943.
Le storie dei sopravvissuti alla Shoah
Alcuni si salvarono, e le loro storie sono tanto importanti quanto quelle di chi i campi di concentramento non li lasciò mai. Tra i più noti sopravvissuti di Auschwitz c’è ovviamente Erno Erbstein, che era stato l’allenatore della mitica Lucchese del 1937 (settima in Serie A, miglior risultato della storia) e che nel 1938 era divenuto allenatore del Torino. Tecnico ungherese dalla visione moderna, dopo la guerra rientrò in Italia e fu l’artefice del Grande Torino, finendo però per morire assieme a tutta la sua squadra nella tragedia di Superga.
Ad Auschwitz, assieme ad Erbstein c’era anche Bela Guttmann, che era stato compagno di nazionale di Weisz e sarebbe poi stato uno dei più grandi allenatori della storia. Dopo la Shoah, lo abbiamo visto all’opera in Italia, sulle panchine di Padova, Triestina, Milan e Vicenza, ma la sua fama è indissolubilmente legata ai successi ottenuti nei primi anni Sessanta alla guida del Grande Benfica, e alla fantomatica maledizione nata dal suo licenziamento. Guttmann è poi morto nel suo letto a Vienna, nel 1981.
Il lascito della Shoah nel mondo del calcio è stata la cancellazione di quasi tutta una generazione di calciatori, poi divenuti allenatori, ebrei, vittime prima dell’antisemitismo diffusosi in gran parte d’Europa, che finì per impedire loro di lavorare, e poi dell’incarcerazione e delle camere a gas.
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