Nonostante gli anni e le critiche, la figura di Sergio Busquets è ancora centrale per il Barcellona e per la nazionale spagnola
Uno scontro fortuito ma pericoloso, qualche attimo di paura, poi il cambio forzato e la corsa in ospedale per esaminare che la botta al capo non avesse causato problemi. Per Sergio Busquets il match tra Atletico Madrid e Barcellona è durato meno di un tempo, giusto il tempo di andare a saltare e scontrarsi, testa a testa, con Savic.
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Il centrocampista catalano, che ha avuto la peggio, ha quindi dovuto lasciare il campo al giovane Ilaix Moriba, con conseguente spostamento di de Jong davanti alla difesa. La sua uscita, però, ha creato diverse difficoltà al Barcellona, meno rapido in fase di costruzione e, soprattutto, molto meno verticale rispetto a prima. L’olandese, infatti, ormai è diventato un interno in tutto e per tutto: così, la sostituzione di Busquets, è stata determinante.
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Busquets, la pietra angolare
“L’uscita di Busi ci ha un po’ scombussolato – ha spiegato dopo la partita Alfred Schreuder, secondo di Koeman – perché se prima stavamo controllando la partita senza particolari problemi, poi ci siamo dovuti ridisegnare e non è stato affatto facile”. Difficile non credergli, visto che lì in mezzo Busquets domina ininterrottamente dal 2008 e, in questi tredici anni, è stato uno dei principali artefici di ogni vittoria blaugrana.
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Scoperto e lanciato da Guardiola, il centrocampista catalano si porta dietro una storia abbastanza curiosa: infatti, nelle giovanili del Barcellona, Busquets giocava da centravanti, ruolo abbandonato proprio su intuizione di Pep e su consiglio di papà Carles, vecchia gloria del club, che gli disse di spostarsi nella zona di campo nella quale riteneva di sentirsi maggiormente a suo agio.
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Da lì in mezzo non si è mai più spostato. A due anni dal suo esordio il Barcellona acquistò Mascherano, costretto a diventare un difensore centrale perché Busquets, nel frattempo, era diventato insostituibile. Lo stesso accadde quando in Catalogna arrivò il camerunense Alex Song, anche lui accantonato fin da subito, per non parlare di Fabregas o Paulinho, quest’ultimo spostato da Luis Enrique nel ruolo di trequartista aggiunto.
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Giocatore fondamentale
Spesso bistrattato per essere un centrocampista poco appariscente, sovente insultato per come interpreta il ruolo con autorità e spigolosità, Busquets a oggi è ancora il miglior mediano basso al mondo. Lo sanno al Barcellona, dove in questi anni non hanno nemmeno più provato a sostituirlo, ma lo sanno anche in nazionale, dove prima Del Bosque – che lo adorava – e ora Luis Enrique gli hanno ricamato attorno il ruolo da pilastro.
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Un vero e proprio capitale prezioso, al quale nessuno osa ormai rinunciare a meno di cataclismi: “Quelli che non mi apprezzano? Semplice: non capiscono di calcio” disse Busquets in un’intervista di qualche tempo fa. Non a torto, perché la narrazione comune lo vede come il calciatore che non è. Sappiamo, invece, ciò che Busi rappresenta per il calcio spagnolo, ovvero un giocatore da quasi 650 presenze nel Barcellona – quarto della storia dopo Messi, Xavi e Iniesta -, tra i più vincenti di sempre. Mica male no?
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