Buffon in nazionale perché non è il caso di richiamarlo nonostante la bella prestazione di ieri sera in Coppa Italia durante Inter-Parma.
L’abbiamo visto volare su Dzeko per una parata clamorosa, abbiamo apprezzato il fatto che abbia disputato la sua cinquantesima partita a San Siro (c’è gente che non ci è arrivata pur essendo tesserata con Milan o Inter) e i 25 anni di distanza tra la prima presenza in questa competizione e l’ultima, appunto, ieri.
Tutto bellissimo, tutto vero, una grande prova di un portiere italiano (probabilmente il più forte di sempre) in un’era in cui purtroppo questo articolo scarseggia e siamo costretti a ripescare numeri uno non sempre di livello, escluso Donnarumma che comunque è a Parigi.
Ripartiranno le fanfare per una campagna pro-Buffon in nazionale? Sicuramente. Però è abbastanza ingiusto nei confronti di chi, tra i portieri italiani, sta cercando di emergere per guadagnarsi un posto al sole, come ad esempio Vicario o Meret.
Buffon azzurro i motivi del no
Con i suoi quasi 45 anni Buffon è il calciatore più anziano in attività nelle principali leghe europee, se vogliamo considerare le varie Serie B di tutta Europa. E non è nemmeno un calciatore qualunque, visto il palmares che si porta dietro e la forza di volontà che sta dimostrando: potrebbe mollare domattina e nessuno si azzarderebbe a dirgli nulla, invece è lì che rema anche se non è nemmeno il titolare del Parma.
Il problema è che quando comincia questo loop di considerazioni, seppur giocando sempre meno, è un attimo sentire le sirene che vorrebbero Gigi di nuovo nel giro della nazionale italiana, con cui ha collezionato ben 176 partite, recordman ogni epoca e difficilmente battibile visto che il secondo, Fabio Cannavaro, non si schioderà da 136 e il migliore in attività, Bonucci, è a quota 120.
Presenze che avrebbero potuto essere ancora di più se l’Italia si fosse qualificata agli ultimi due mondiali. Dal 2018 infatti Buffon non fa parte del giro azzurro e pensare che sarebbe potuto diventare l’unico calciatore nella storia a partecipare a sei edizioni della coppa del mondo, anche questo un record difficilmente battibile.
Ci fossimo arrivati quest’anno in Qatar, chissà, come terzo magari Mancini avrebbe potuto chiamarlo. Già nel 2017, quando venimmo eliminati allo spareggio dalla Svezia fu toccante il suo sfogo non solo per l’addio al mondiale ma perché il record era sfumato ed era oggettivamente un Buffon ancora buono per i grandi palcoscenici.
Certo, quando siamo stati eliminati dalla Macedonia del Nord a marzo non è che Gigi ci fosse andato giù tenero con Mancini: “”Se l’Italia si fosse qualificata, non credo sarei stato convocato. La meritocrazia è dalla mia parte, ma ci sono altri discorsi a cui dare precedenza e rispetto: considerate le scelte degli ultimi anni, è giusto così. Mancini? E’ stato l’artefice principale del rinascimento vissuto con l’Europeo, ma dopo una batosta così qualche responsabilità ce l’ha anche lui”.
E ancora: “C’è modo e modo di uscire, se perdi ai rigori con il Portogallo nessuno può rimproverati, dopo la caduta con la Macedonia del Nord ripartire è più duro: alle prime difficoltà potrebbero tornare i fantasmi, riaffiorare i capi di imputazione. Diciamo che l’equilibrio è sottile”, aveva dichiarato il portiere al quotidiano “La Stampa”.
Non che oggi non lo sia, però al Parma quest’anno in campionato ha giocato appena 4 partite, compresa quella di ieri in Coppa Italia e convocarlo solo perché “è Buffon” sarebbe abbastanza irrispettoso. Se dovesse andare avanti fino a 50 anni, saremo i primi ad applaudirlo, ma la nazionale no, anche basta, in attesa del 2026 quando potrebbe riaprirsi il dibattito.
Anche lì, tra tre anni, rimarrebbe anacronistica una convocazione di Buffon nonostante la gigantesca impronta lasciata sul nostro calcio.