L’incredibile storia di Bela Guttman, l’uomo che ha maledetto il Benfica, condannando i portoghesi a non vincere piĆ¹ in Europa.
āSenza di me il Benfica non vincerĆ mai una Coppa dei Campioni per i prossimi 100 anniā
Parole che risuonano nel tempo, pesanti come macigni. Parole che forse chi le ha sentite per la prima volta non ha potuto che deriderle. Le ha ascoltate, magari ha compiuto qualche gesto scaramantico di rito, ma poi le ha lasciate cadere nel vuoto. Senza immaginare il peso che avrebbero finito per rivestire nel tempo.
Come si puĆ² coniugare una storia di maledizioni e superstizione col racconto della lunga storia della Coppa dei campioni? Tramite la figura, oscura e leggendaria, di Bela Guttman, il tecnico che prima ha condotto il Benfica sul tetto dāEuropa, poi lāha maledetto senza pietĆ .
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Chi era Bela Guttman
Nativo di Budapest, di origini ebraiche, Guttman ĆØ figlio di due ballerini e cresce circondato dallāarte e dalla grazia di quellāambiente. Ć attratto da quel mondo dello spettacolo in cui si forgia, ma presto sposta la sua attenzione verso unāarte, meno raffinata, quella che si pratica su campi fangosi e si consuma con lāinesorabile rotolare di un pallone.
Guttman, nato sul finire del XIX secolo, inizia a giocare in Ungheria, ma poi deve abbandonare il proprio Paese, diventato improvvisamente intollerante verso gli ebrei con lāavvento al potere di Horthy. Allora Bela si rifugia in Austria e dĆ sfogo al suo animo inquieto e ribelle, facendo del motivo della sua fuga dall’Ungheria un vanto, giocando con lāHakoah di Vienna, la squadra simbolo della comunitĆ sionista, con cui sāimpegna a sostegno degli ebrei nel mondo.
Un popolo che va incontro a una sorte catastrofica. Con la Seconda Guerra Mondiale e l’ombra nazista sull’Europa inizia la persecuzione degli ebrei e lo stesso Guttman, che intanto ha appeso gli scarpini al chiodo e si ĆØ seduto in panchina, riesce a scampare miracolosamente alla mano nazista, scappando da un convoglio diretto allāinferno di Auschwitz ed evitando cosƬ la deportazione nascondendosi nei meandri della sua Budapest.
Dopo la seconda guerra mondiale riprende ad allenare. Se da giocatore era una star, da tecnico diventa una leggenda. Intercontinentale, perchĆ© va in Sudamerica e insegna calcio. Il Brasile ancora ringrazia, perchĆ© il San Paolo di Guttman fa da modello al leggendario Brasile del 1958, quello del magnifico quartetto composto da DidƬ, VavĆ , PelĆØ e Garrincha.
Nel 1959 Guttman arriva in Portogallo, regala il titolo nazionale al Porto, per poi passare al Benfica, scrivendo una delle pagine piĆ¹ importanti della storia del calcio europeo.
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Guttman e il Benfica
Il Benfica di Guttman ĆØ una delle squadre piĆ¹ forti della storia del calcio. Lāuomo-simbolo dei portoghesi ĆØ naturalmente Eusebio, portato a Lisbona proprio dal tecnico ungherese, e intorno alla Pantera Nera Guttman costruisce la propria squadra, che arriva a dominare il calcio europeo.
Sotto la guida dell’ungherese, le aquile vincono due Coppe dei campioni consecutive: la prima nel 1960 in finale col Barcellona, la seconda nel 1961 al termine di un match leggendario contro il Real Madrid. Al termine del primo tempo, gli spagnoli sono in vantaggio per 3-1 grazie a una sensazione tripletta di Puskas. Nella ripresa perĆ² scende in campo tutto un altro Benfica, che rimonta e va a vincere con un clamoroso 5-3, firmando una delle piĆ¹ grandi rimonte della storia del calcio europeo.
Unāimpresa che proietta le aquile di Lisbona nellāOlimpo del calcio e che porta Guttman a chiedere un premio in denaro al club. Richiesta spedita al mittente, anche in modo brusco, e allora nascono delle frizioni tra il tecnico ungherese e il suo club, fino al divorzio dopo la sconfitta in Coppa Intercontinentale per mano del Penarol.
Un addio traumatico, da cui nasce lāoscura maledizione che Guttman lancia sul suo ex club. Quelle parole che i dirigenti del Benfica al tempo hanno irriso, sono destinate a segnare in maniera indelebile la storia del club. L’ungherese lascia la Penisola Iberica auspicando che il Benfica non avrebbe mai piĆ¹ vinto una Coppa dei Campioni da lƬ a 100 anni. Un presagio oscuro, che diverrĆ tremendamente reale.
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La maledizione di Guttman
Da quel momento effettivamente il Benfica non vince piĆ¹ alcuna Coppa dei Campioni. Proprio come aveva predetto Guttman. Eppure le occasioni ci sarebbero. I lusitani arrivano in finale giĆ nel 1963, venendo sconfitti dal Milan. Poi nel 1965, ma stavolta ad alzare il trofeo ĆØ lāInter. Due finali perse lanciano qualche campanello dāallarme, ma nessuno pensa ancora a prendere sul serio quellāanatema scagliato due anni prima.
Nel 1968 perĆ² arriva unāaltra sconfitta in finale di Coppa dei Campioni, per mano del Manchester United di Charlton e Best. Cala il sipario sul grande Benfica di Eusebio e quella maledizione viene messa da parte, ma riaffiora venti anni dopo, quando i portoghesi perdono ancora una finale di Coppa dei Campioni, stavolta per mano del PSV ai rigori.
Dopo la sconfitta del 1988, nessuno dubita piĆ¹ della validitĆ della maledizione di Guttman. Ci si inizia a rendere conto di quanto sono state pesanti quelle parole e in vista della finale del 1990, da giocare contro il Milan, EusebioĀ stesso si reca sulla tomba del suo ex allenatore, per porgere dei fiori e chiedere lāannullamento della maledizione.
Parole al vento: il Benfica perde ancora, punito da una rete di Rijkaard, e la maledizione di Guttman continua a perseguitare il club lusitano.
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Tra folklore e realtĆ
La vicenda della maledizione di Guttman ĆØ un unicum abbastanza particolare e inquietante nel mondo del calcio. Ć difficile classificare come semplici coincidenze le cinque sconfitte in finale di Coppa dei Campioni del Benfica, cui vanno uniti anche altri ko tra Coppa Uefa ed Europa League. Ć altrettanto perĆ² complicato credere a una storia di maledizioni e scaramanzia, nonostante lāinnegabile fascino che emani.
Questa storia esalta un lato piĆ¹ nascosto del calcio, quello che si attacca alla scaramanzia, che scava nella fede e finisce per entrare a contatto con forze mistiche e soprannaturali. Il lato folkloristico di questo sport, che permette di credere che sia possibile lanciare una maledizione e condannare una squadra. Che dĆ vita a una delle vicende piĆ¹ assurde e inquetanti del calcio europeo.
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