L’Athletic Bilbao è una delle squadre più hipster del mondo. È in una città hipster – quasi 350mila abitanti, il Guggenheim, le torri e, per il clima, un angolo di Inghilterra in Spagna – con una regola altrettanto esclusiva: non ci possono giocare calciatori che non siano nati nei Paesi Baschi (quindi anche la regione francese di Iparralde, nei Pirenei) o che non abbiano giocato nel settore giovanile di una squadra basca.
A ciò, nell’ultimo decennio si è aggiunto un elemento fondamentale: la costruzione nel 2013 dello stadio San Mames, noto come La Catedral.
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Ma l’Athletic Bilbao, vincitore dell’ultima Supercoppa di Spagna, è di fronte a un bivio. Mantenere la sacralità della propria dipendenza dal territorio o aprirsi a nuovi calciatori? Lo spiega Alessandro Ruta, giornalista, scrittore e autore televisivo italiano che vive e lavora nei Paesi Baschi.
Lo incontro davanti il San Mames, situato un po’ distante dal centro, in una zona di Bilbao non molto distante dal centro – vicino ci sono l’ospedale, la sede di una televisione e di un’università locale.
Per capire l’Athletic e i Paesi Baschi bisogna iniziare dalla storia.
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“Perché Franco, negli anni ’30 della Guerra Civile spagnola, se la prende con Catalunya e Paesi Baschi? Per i loro soldi, sono le due più ricche. Non vuole che ci siano sacche ricche che un giorno chiedano l’indipendenza dalla Spagna e che si possano opporre a Franco” dice Alessandro. “Qui hanno mandato molta gente nei campi di lavoro: molte autostrade spagnole sono state costruite dai baschi, costretti dai franchisti. Poi con la seconda guerra mondiale c’è stato uno switch. Gli inglesi hanno bisogno di armi e Bilbao è piena di acciaierie, di fabbriche e, soprattutto, è vicina dall’Inghilterra, ma lontano dalla Manica. Strategicamente perfetto. Con i contratti con gli inglesi arrivano i miliardi e Bilbao diventa una zona borghese (San Sabastian, una delle patrie del surf, a 100 km da Bilbao, è stata per decenni la residenza estiva dei reali spagnoli, ndr).”
“Poi, chiaramente, non è che sia stato sempre tutto così splendido, anzi, fino agli anni Novanta era ancora una città in cui giravano i soldi ma si lavorava molto in fabbrica, una città spenta culturalmente e dedita esclusivamente al lavoro. Poi, nel 1998 decidono di aprire il Guggenheim e subito Bilbao diventa il place to be della Spagna. Ancora oggi è così: investitori, banche, assicurazioni, turismo. In 20 anni la città è cresciuta molto”.
“Per dire – come racconta Alessandro – Luis Rioja, attaccante dell’Alaves (squadra di Vitoria, nei Paesi Baschi, ndr) è di Maiorca, un posto cool, e invece che stare a Vitoria, vive a Bilbao, piena di locali, eventi, feste. L’ho incontrato qualche giorno fa per strada”.
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Athletic, i problemi della raison d’etre
La questione sul calcio locale, però, presenta un quadro meno roseo dell’attuale presente della città . L’Athletic Bilbao ha un problema serio. Non è più la prima squadra dei Paesi Baschi. Spiega Alessandro: “Adesso la Real Sociedad – squadra rivale di San Sebastian, con un passato tuttavia meno nobile rispetto ai Rojiblancos con tanta Segunda Divsion – ha superato l’Athletic, che per decenni è stato prima e seconda squadra dei Paesi Baschi. Non c’era storia”.
“Poi, al di là, dei titoli vinti – l’Athletic Bilabo ha vinto quest’anno la Supercoppa, anno scorso la Real ha vinto la Copa del Rey – è proprio il mood che è cambiato. I giocatori del posto, adesso, sono meno attratti dall’andare a giocare all’Athletic. Uno come Oyarzabal, dieci anni fa, non sarebbe esistito andasse alla Real: dopo metà campionato, arrivava l’Athletic Bilbao e con una bella somma se lo portava a casa – poi, magari, lo avrebbe rivenduto a una cifra triplicata. Adesso, invece, i giovani sono meno invogliati dal San Mames; l’Athletic non offre più il fascino che aveva prima”.
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Gli chiedo un esempio. “Mikel Merino. Giocatore fortissimo che quest’anno, probabilmente, sarebbe stato titolare nella Spagna di Luis Enrique, è di Pamplona (nei Paesi Baschi, ndr) e potrebbe essere tesserato dall’Athletic; però, dopo Newcastle e Borussia Dortmund, è andato a giocare con la Real quando l’Athletic stava per chiudere l’operazione, decidendo per l’Anoeta invece che per il San Mames”.
In pratica, l’Athletic Bilbao ha da un lato il peso della sua storia e tradizione, dall’altro, un sistema opposto, quello della Real Sociedad, che lo ha soverchiato. I migliori talenti della squadra di San Sebastian – come spiega Alessandro – non sono baschi: vengono comprati dal Borussia Dortmund, o, come David Silva, arrivano pur non essendo baschi – è canario.
“Certo bisognerebbe fare la rivoluzione per far si che anche gli italiani o giocatori da tutto il mondo possano andare all’Athletic. Però, non credo che ai tifosi interessi molto se i propri giocatori sono baschi o portoghesi o inglesi, perché l’importante adesso è colmare il gap con la Real.”
“Cioè l’Athletic non ha un centravanti puro, forte e continuo da anni e con questo sistema non riesce a trovare una soluzione, mentre la Real, potendo operare come un normale club di calcio, ha una rosa più completa”.
“Rispetto al calcio di oggi, il modello dell’Athletic è antisistema: oggi è un calcio globalizzato, internazionale, con tifosi in tutto il mondo e calciatori da ogni paese anche nei settori giovanili. Basta guardare l’Atalanta: sia per la prima squadra che per le giovanili, pescano in Olanda, Danimarca. Mahele è solo l’ultimo caso. Non so se è possibile cambiare il mondo dell’Athletic, ma certo è che gli ultimi campionati difficili (pur con tutti i trofei vinti – due in dieci anni) e le attuali carenze tecniche hanno portato a un declassamento del club sia in Liga che nelle gerarchie sportive dei Paesi Baschi. Per questo i tifosi vogliono un cambiamento”.
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Athletic Bilbao e il San Mames
Guardando il San Mames dal suo interno è, come sembra dai video di YouTube, uno stadio di altissimo livello. Ha cinque stelle UEFA, il maggior riconoscimento che può ricevere un impianto, e ha una capienza di più di 60mila persone. Durante i miei viaggi mi è capitato di visitare diversi musei dei club e di stadi – Camp Nou, Allianz Arena, Emirates Stadium – e il San Mames di Bilbao, rispetto a questi più blasonati, ha poco di meno da offrire – dal museo, agli spogliatoi, alla zona mista.
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Oltre allo straordinario vestito estetico cucito dallo studio d’architettura ACXT-IDOM (ovviamente basco), come i progettisti degli stadi moderni richiedono, il San Mames è inserito strategicamente nella pianta urbana della città, un po’ come Marassi a Genova, località che, per morfologia del territorio e tipologie di palazzi, pare somigliare alla città basca. Lo stadio è stato costruito di fianco a quello vecchio, raso al suolo una volta pronto quello nuovo.
Al suo interno, appunto, c’è il museo del club, che oltre ad offrire un percorso multimediale sbalorditivo – anche se, alla fine, ogni club ha il suo giochino tecnologico – proietta veramente lo spettatore dentro il mondo Athletic. Li ho imparato che Pichici, quel Pichichi che presta il nome al miglior marcatore stagionale in Liga, ha giocato tutta la vita con l’Athletic; ho imparato che quel nome, Athletic, non è stato sempre così: nel franchismo, l’H non c’era – per motivi di nazionalismo -, e la dicitura era Atletico de Bilbao, accantonando il riferimento alle origini britanniche; ho imparato che l’Athletic è stato, fra i 50′ e i 60′, una delle squadre più temute d’Europa. E dico si: il mondo dell’Athletic, in questa sua bolla di storia e tradizione ma in salsa tecnologia e modernità, è tutto bellissimo.
Per cui sarebbe semplice dire che nessuno vorrebbe smembrare l’Athletic Bilbao. Insomma, che tutto rimanga così, puro e alieno dal mondo nuovo – quello della Superlega, dei giocatori che non rinnovano per un milione, delle super commissioni, della UEFA a cui non piace l’Arcobaleno. Eppure, dopo aver visto la città e la modernità del nuovo San Mames, penso che Bilbao e l’Athletic meritino di andare oltre.
Anzi, forse è proprio questa nuova versione del club e della città – progressista, tecnologica, e si, anche borghese e chic – che mi porta a dire che vorrei vedere l’Athletic Bilbao aperto al calcio mondiale, con giocatori cinesi che facciano esportare i modellini in Lego del San Mames a Pechino; con le sciarpe del Bilbao anche a Medellin, in Colombia, perché ci gioca James Rodriguez. Con Spinazzola che, dopo il prossimo Europeo, viene comprato dall’Athletic.
Sarebbe forse l’unica via per un lieto fine e non rimanere secondi a casa propria.
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