Prima Marotta, poi Antonio Conte. L’evoluzione dell’Inter dalla sua copia sfiancata delle stagioni pre-Zhang a quella di oggi ha portato i nerazzurri di nuovo in una élite nazional-europea. Merito del lavoro di tanti, anche del buon (epurato) Spalletti. Ma quest’anno, la scena l’ha presa tutta Antonio Conte e il suo presunto know-how vincente. Non che abbia fatto male, certo, ma quell’aggettivo “presunto”, studiando la sua comunicazione, merita una citazione d’onore.
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Perché se è vero che il potere logora chi ce l’ha, allora Conte si è logorato parecchio, e quell’allenatore bravo a vincere con i talenti meno accesi e con i giocatori meno forti, adesso è diventato più presuntuoso. Se ne è accorta tutta Italia con le sue dichiarazioni e il suo body language che hanno trascinato la squadra verso quel vortice di critiche che lo stesso allenatore accusava fin da subito. Dannati media!
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Inter, cosa non è andato
Alla fine a rimetterci sono sempre i tifosi. Quelli che con Antonio Conte si aspettavano una stagione super, con dei risultati altisonanti e delle vittorie storiche, si sono dovuti ricredere. Alla fine, quest’Inter non è stata molto diversa da quella di anno scorso.
Ci sono stati punti persi, soprattutto con le piccole (Sassuolo, Lecce, Cagliari, Bologna, e mettiamoci anche il Verona), ma anche una insostenibile e inaccettabile sofferenza in Europa. Quando la squadra sembrava vicino al miracolo, come la vittoria al Camp Nou contro il Barcellona o al Signal Iduna Park di Dortmund, alla fine ecco i gol degli avversari, e le speranze diventano illusioni.
Partite e prestazioni difficili da giustificare, per vantaggio e livello tecnico, e anche quel pareggio contro lo Slavia Praga – sull’eco dell’1-1 col PSV anno scorso – è stata la conferma che, anche quest’anno, l’Europa non sarebbe stata cosa interista. In pratica, quello che si era detto già con Spalletti quasi un anno fa.
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Il nervosismo, poi. Quello dell’ambiente per le reiterate novelle di spogliatoio con giocatori ubriachi (Brozovic), perennemente infortunati (Sanchez e Sensi) o distratti dal mercato (Lautaro Martinez); e quello dell’allenatore. Antonio Conte ha più volte attaccato la società e il grande architetto nerazzurro che ha scelto lui e la sua squadra, Giuseppe Marotta.
Accusare l’ad di leggerezza istituzionale e di poco supporto nel calciomercato sembra veramente fuori luogo. Soprattutto, considerando che l’Inter ha speso fra giugno e febbraio 176 milioni di euro.
Di fatto, può essere comprensibile il nervosismo verso i media che paiono interessarsi solo delle sfortune nerazzurre, ma per il resto, c’è ben poco da giustificare. Il brand Conte, che doveva insistere sull’atletismo – e l’ha fatto – e una struttura di squadra solida, si è visto ma non sempre sul campo, mentre fuori, è stata espressa solo tramite una inutile arroganza.
Di conseguenza, l’ambiente si è appassito negli ultimi mesi e una stagione iniziata e progredita alla grande si è avviata verso una conclusione sconcia e contorta. E non era necessario.
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L’Inter riparta da Conte, ma con più voce
Il brand Inter è molto forte, sia in Italia che all’estero. Le innovazioni tecnologiche e strutturali susseguitesi dall’arrivo degli Zhang hanno reso l’Inter un club molto più forte dal punto di vista commerciale.
E in campo, è corrisposta una parziale copertura di questo boom. Il livello tecnico si è alzato, sia negli undici che (in parte) in panchina, e anche l’allenatore, Conte, è un tecnico dal nome molto più squillante e famoso dei suoi predecessori (Spalletti, Pioli). Oltretutto, l’Inter è qualificata in Champions League da tre anni consecutivi, quattro con il prossimo. La visibilità internazionale ha ripreso a macinare con un ritmo impressionante.
Quindi i nerazzurri hanno tutto per diventare, nei prossimi anni, veramente gli anti-Juventus prospettati – erratamente, nei tempi – da un paio di stagioni. Sicuramente, questo presunto ruolo ha caricato si aspettative il mondo Inter quando non ce n’era bisogno, ma fondamentalmente, l’Inter quello che doveva fare lo ha fatto.
Ed è per questo che la voce della dirigenza ha ragione di prevalere nei confronti del suo allenatore. Antonio Conte non può chiedere la luna se il club non è ancora pronto per avere quello shuttle adatto, e quindi, serve proprio quello che troppo retoricamente ammettiamo mancare nel nostro calcio: la pazienza.
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L’Inter ha preso Conte per essere competitivi da subito, ma era impossibile propendere per l’obiettivo Scudetto o un profondo percorso in Champions League con questa squadra. E forse Conte non ha capito questo.
Perché pensava che la sua icona – status, brand, immagine – fosse più larga di quella del club che lo ha scelto, pretendendo da subito il risultato prospettato. Sbagliandosi. Ecco perché l’Inter si è ammaccata sul più bello, pur chiudendo la stagione nella posizione che gli merita – secondo o terzo posto.
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Semplicemente, sarebbe bastato – per l’allenatore – essere più umile e meno prepotente, ricordando che è stato scelto per vincere ma che questo obiettivo, quando si compete contro la Juventus, difficilmente può realizzarsi nell’hic et nunc. Quindi ne sono derivati il recente nervosismo e le indelicate parole verso la dirigenza, tra l’altro mal accettate dai tifosi, in parte delusi dal comportamento di Conte, in parte d’accordo con le scelte dirigenziali.
All’Inter si tornerà presto a vincere se il ritmo di crescita è questo. Ma per farlo servono pazienza e umiltà, tratti che Conte, forse, non aveva creduto potessero servire dopo tre campionati italiani e una Premier League vinta. A educarlo, da buon maestro, ci penserà Marotta.
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