L’accoppiata “genio-sregolatezza” è praticamente alla base del percorso della maggior parte dei grandi campioni. Così come anche di quei giocatori che spesso, proprio a causa di un carattere poco facile, hanno dilapidato un talento immenso andando a raccogliere molto meno di quanto potessero desiderare in carriera. Probabilmente ad Alviero Chiorri questo nemmeno interessa. In campo come nella vita è sempre stato uno spirito libero, scevro dalla convinzione che fosse necessario omologarsi per piacere, risultare simpatici o per emergere.
Tra tutte le rockstar del mondo del calcio Chiorri è stata forse una delle più scintillanti ma, al tempo stesso, paradossalmente meno conosciute e ricordate. Un calciatore dal talento sopraffino che, per sua stessa ammissione, giocava unicamente per il divertimento del pubblico, ricalcando prettamente segnali di un pallone spettacolare quanto genuino, che ora è sempre più lontano dalle tematiche moderne.
Un marziano “folle”: l’incredibile storia di Alviero Chiorri
Nato a Roma il 2 marzo del 1959, Chiorri ha da pochissimo compiuto 61 anni. Tutti vissuti con impeto, scaltrezza, talento e qualche colpo di genio. Nato mezzala mancina, con ottima tecnica e buon senso della posizione, il giocatore venne preso giovanissimo dalla Sampdoria (ad appena 15 anni) e fatto esordire in Serie A solo 2 anni più tardi.
Il merito fu del noto tecnico Eugenio Bersellini: soprannominato “il sergente di ferro” per via delle sue lunghe e frustranti sedute di allenamento, l’allenatore notò in Alviero Chiorri – che nel 1977 aveva vinto il torneo di Viareggio con la selezione giovanile del club – un calciatore dal potenziale strabiliante, tanto è vero che qualche anno dopo lo stesso Bersellini cercò di portare il suo pupillo all’Inter, senza successo (i nerazzurri presero poi Beccalossi, ndr).
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Dopo l’esordio per Chiorri arrivò un poker di stagioni sempre da titolare alla Sampdoria, seppur in Serie B: il ragazzo, giovane e voglioso di mettersi in mostra, divenne in breve tempo l’idolo di Marassi, nonostante una mancanza di maturità nella gestione sportiva personale e alcune intemperanze difficili da digerire. “Oggi i ragazzi che fanno il loro esordio in A molto presto sono mentalmente più preparati. Io invece non mi sapevo gestire.
Quando Bersellini mi chiamò per il raduno in prima squadra mi presentai con catenina d’oro, bermuda e sandali…non avevo la testa per fare il professionista, volevo solo divertirmi, giocavo semplicemente per farmi apprezzare dal pubblico”, ammetterà lo stesso Chiorri in svariate interviste rilasciate alla stampa. C’è da dire che, al di là dei problemi caratteriali, i risultati premiavano il talento discontinuo di quel piccolo fenomeno. In almeno due stagioni va quasi in doppia cifra di gol, realizzando 8 reti, confermandosi peraltro come prezioso uomo assist per i compagni di squadra.
Chiorri è talmente lontano dallo stereotipo del calciatore aziendale e così pregno di balistiche qualità che viene soprannominato dai tifosi della Sampdoria il marziano, un elemento totalmente fuori contesto che, però, regala emozioni e tanto spettacolo. Almeno fino quando i doriani non decidono di cederlo, seppur in prestito, a causa della sua mancanza di continuità. Chiorri finisce per una stagione al Bologna. Qui inizia bene ma poi, a causa di un infortunio, è costretto a saltare praticamente quasi tutte le gare del campionato, con i felsinei che retrocederanno in Serie B. Proprio al Bologna Chiorri incontrerà il giocatore che, in maniera del tutto involontaria, sarà il responsabile del suo addio definitivo alla Sampdoria: Roberto Mancini.
Partito verso Bologna da solo, Chiorri torna alla Sampdoria proprio in compagnia del futuro allenatore di Inter, Galatasaray e Zenit: il giovane fenomeno gli soffierà il posto da titolare nelle due stagioni successive, finendo per spedire l’ex idolo di Marassi nelle retrovie delle gerarchie di squadra. Inevitabilmente, dunque, ci fu l’addio: “La Sampdoria stava crescendo, ma io non andavo di pari passo e a un certo punto il presidente Mantovani fu costretto a cedermi. Quando mi salutò aveva le lacrime agli occhi e mi disse: ‘Alviero, sei stata la più grande delusione della mia vita‘. Quella frase me la sono portata dentro fino all’ultimo giorno che sono sceso in campo”.
La depressione
Dopo anni per Alviero Chiorri si chiuse quindi il capitolo alla Sampdoria. Ma, si sa, chiusa una porta si apre un portone. E quel portone per Chiorri ha il nome della Cremonese. Crede in lui acquistandolo dopo lo scambio che porterà poi Vialli in blucerchiato. Il calciatore divenne ben presto un idolo anche della squadra grigiorossa, trascorrendo le ultime 8 stagioni proprio alla Cremonese. Stagioni che lo hanno visto conquistare due promozioni in Serie A ma anche fermarsi per combattere una malattia viscida e strisciante come la depressione.
“Nella stagione 1988/1989 non stavo più bene. Prima rifiutai i medicinali, ma alla fine mi decisi a farmi ricoverare in clinica. Quattro mesi di cure, psicofarmaci e il cortisone che mi ha gonfiato: ero in sovrappeso di 15 kg. Nello spareggio per la promozione il mister mi mette dentro nella lotteria dei rigori per tirare: sbaglio e mi crolla il mondo addosso. Mi si avvicinò però Rampulla: ‘Tranquillo Alviero, ci penso io’. Parò due rigori e andammo in Serie A: ero finalmente rinato”. Libero dalla tragedia della depressione, Alviero Chiorri torna a stupire fino a quando non inizia a sentirsi un pesce fuor d’acqua nel mondo del calcio.
L’enorme rimpianto del calcio italiano
Ad appena 33 anni e senza aver mai dimostrato di poter diventare il fenomeno che avrebbe dovuto essere, Chiorri dà l’addio al calcio. E non può farlo banalmente. La sua ultima partita è proprio in casa della Sampdoria. Un primo amore che non lo ha mai dimenticato e che, anzi, nel momento del saluto lo applaude in maniera commossa tramite l’ausilio dei suoi stessi tifosi. “Mi ritirai perché sentivo di esser stato tradito da un mondo che, in fondo, non era mai stato davvero mio: non volevo piegarmi ai compromessi, non l’avrei mai fatto”.
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Non a caso, dal 1994, Alviero Chiorri ha deciso di staccare con il calcio italiano e con il Paese stesso. Vive a L’Avana, capitale di Cuba, città nella quale “ozio, non faccio niente e mi piace non fare niente”. Nel suo piccolo, ancora oggi Chiorri rappresenta probabilmente un rimpianto enorme del calcio italiano.
In molti hanno avuto stima delle sue immense qualità (nel 2015 Renzo Ulivieri affermò che fosse stato più forte di Mancini e Baggio) ma altrettante persone hanno dovuto arrendersi alla sregolatezza di questo spirito plasmato per lottare contro il sistema. Uno spirito la cui carriera, in effetti, è riassumibile in questa sua stessa frase: “Tutta la mia carriera è stata una cazzata. Vorrei tanto riprovarci con la testa di adesso: ci sarebbe da divertirsi!”. In effetti, in questo calcio obnubilato dalla tattica e dagli interessi, l’invasione di un marziano farebbe davvero comodo.