La vittoria della Spagna contro la Georgia è la vittoria della pianificazione, della consapevolezza e dell’intelligenza.
Non c’entra solo il talento in quello che la Spagna sta facendo vedere in questi Europei, competizione dove è arrivata senza attenzioni mediatiche che la eleggessero come pretendente alla vittoria finale nonostante la conquista della Nations League di un anno fa. La vittoria spagnola – e la conseguente ascesa a pretendente per diritto di campo alla corona europea – è figlia di scelte ben precise fatte due anni fa, quando dopo la terrificante eliminazione al mondiale in Qatar la federazione ha salutato Luis Enrique, il suo calcio spumeggiante e i dubbi sul ricambio generazionale virando su De la Fuente, tecnico che di quel ricambio generazionale sarebbe stato l’artefice.
La Spagna di Luis Enrique era ancora figlia del duopolio Barcellona – Real Madrid, dei residui di carriere incredibili, dalle magagne dovute alla personalità dell’allenatore e agli anni passati dal triplete a cavallo del 2010, troppo bello per essere lasciato andare. Bisognava tagliare i ponti con quel passato, tirare una riga netta che dividesse quelle splendide imprese dal futuro della nazionale, e De la Fuente è stato il demiurgo perfetto di questo passaggio di consegne. Se si guarda la Spagna di oggi il pressing e la gestione della palla ricordano la Roja campione del mondo di Iniesta, Xavi e Sergio Ramos sintetizzata con l’estrema verticalità che si era ammirata nella nazionale U21 nell’estate 2019. Quella squadra eliminò proprio l’Italia di Zaniolo all’Europeo casalingo di categoria divertendo, dominando, impressionando. Ed esattamente questo sta facendo la Spagna di oggi: domina cambiando pelle, non declinando il calcio con il solo Tiki Taka del passato ma ricorrendo ad armi nuove, proprie più del Brasile che della Spagna campione di tutto.
La Spagna è costruita alla perfezione
Il sistema che permette alle giovanissime ali offensive di trasformarsi in macchine da guerra ha reso Nico Williams un calciatore di livello internazionale e ha certificato come Yamal sia già ora uno dei migliori giocatori in quel ruolo. Ma non solo le ali: la creatività e l’imprevedibilità di un sistema collaudato, l’equilibrio di un pressing coordinato, di un possesso palla non fine a se stesso, di un gruppo solido di giocatori esperti che non hanno nulla a che fare – o quasi – con l’enorme passato della squadra. Rodri, Morata, Carvajal, Olmo, nessuno di loro è stato fondamentale nelle vecchie vittorie, ma tutti hanno avuto una carriera splendente che oggi li rende alfieri di esperienza per i giovanissimi che De la Fuente ha scelto per rinnovare il calcio spagnolo. Pedri, Yamal, Nico Williams, Gavi (che oggi è infortunato), tutti ragazzi dal talento debordante inseriti in un sistema che li esalta e li migliora non privandoli della propria libertà.
Non è quindi un caso che Cucurella, Fabian Ruiz, Le Normand rendano così tanto: De la Fuente ha creato un sistema che funziona, in cui individualità e collettivo si fondono grazie al cambio di alcuni paradigmi e l’eliminazione di diversi dogmi. Niente più totem del Sud Africa, niente scorie di un passato irraggiungibile. Solo spazio alla qualità, alla velocità e al talento individuale donato al collettivo, questo è il motivo per cui la vittoria della Spagna è la vittoria della consapevolezza di sé, dei propri limiti e soprattutto delle proprie qualità.