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Il nome di Mario Goetze è inciso a fuoco sulla storia della nazionale tedesca, ma è anche espressione di fragilità, di un talento che è stato schiacciato dal peso dei successi ottenuti.

All’età di nove anni Goetze entra a far parte delle giovanili del Borussia Dortmund e a soli diciassette esordisce in Bundesliga. Sin dall’infanzia è considerato un enfant prodige, uno dei prospetti più brillanti di quella fucina di talenti che è il BVB. Nelle prime due stagioni in cui gioca stabilmente con la prima squadra è uno dei trascinatori nei due scudetti consecutivi di Klopp, il terzo anno è il migliore dal punto di vista realizzativo con 16 goal tra tutte le competizioni, ma la squadra si arrende a un Bayern straripante. 

Il 2013 è ricordato come l’anno del tradimento: in poche sessioni di mercato il Bayern Monaco saccheggia tutti i migliori calciatori delle squadre rivali, accanendosi in maniera truculenta sul Borussia Dortmund. Chi avvia questo esodo verso Monaco di Baviera è proprio il ventitreenne Mario Goetze, seguito negli anni da Robert Lewandoswki e Mats Hummels. Tutti condividono lo stesso percorso, tutti tranne Marco Reus.

Come ogni precursore, Mario Goetze è il più esposto alle critiche dei suoi tifosi, soprattutto per le modalità con cui si svolge l’operazione di mercato. Per puro caso e ad acquisto già concluso, il Borussia Dortmund si trova a sfidare il Bayern Monaco nella finale di Champions League. Un infortunio lo costringe (o lo aiuta) a saltare la partita, facilitando la resa del Dortmund al Bayern di Arjen Robben. Non deve essere un bel momento quello in cui si passa da idolo a traditore. 

Al Bayern Monaco Mario Goetze vive gli anni migliori della sua carriera: con Guardiola vince tre scudetti in tre stagioni, si ritaglia tanti minuti in una squadra di fuoriclasse e conquista un pubblico storicamente esigente. In Champions i bavaresi collezionano solo tre semifinali consecutive, fermandosi sempre a due passi dall’obiettivo. Ciò nonostante si toglie lo sfizio di segnare diversi goal nella massima competizione europea e uno nel Mondiale per Club del 2013, proprio quello conseguente alla finale persa dal suo Borussia Dortmund.

Ma è per un altro tipo di Mondiale che il nome di Goetze resterà per sempre nella storia. Siamo in Brasile nell’estate del 2014 e la Germania batte una per volta gran parte delle sue dirette concorrenti: il Portogallo ai gironi, la Francia ai quarti, il Brasile padrone di casa in semifinale nella partita ricordata come “Mineirazo”, ossia la disfatta più altisonante della Nazionale verdeoro. In finale la Germania si scontra con l’Argentina di Leo Messi al Maracanà di Rio de Janeiro. Goetze ha un ruolo da comprimario durante tutto il torneo, tra esclusioni per scelta tecnica e un solo goal segnato al Ghana, in quella partita entra all’88esimo per dare freschezza alla squadra in vista degli imminenti supplementari. Tutto sembra propendere per i calci di rigore quando è proprio Goetze a stoppare il pallone di petto e freddare al volo Romero. Nella serata in cui tutti aspettavano Leo Messi, Mario Goetze è diventato immortale.

Mario Goetze sembra sparito senza lasciare traccia 

A soli 26 anni Mario Goetze ritorna al Borussia Dortmund. Nonostante abbia fatto gioire milioni di tedeschi i tifosi non lo vogliono; è troppo grande la ferita del passaggio al Bayern. La società però non ascolta il pubblico e punta di nuovo su di lui. Da qui inizia la parabola discendente. Nei successivi quattro anni è spesso ai box per problemi fisici, tra cui una disfunzione del metabolismo che gli rende difficile bruciare grasso corporeo. Aggiunge alla sua bacheca una Coppa di Germania e una Supercoppa, ma senza essere mai davvero protagonista. Come se non bastasse, la scintilla con i suoi tifosi non si riaccende più.

Seguono due stagioni discrete al PSV, dove sigla una rete nella finale di Supercoppa disputata contro l’Ajax. Oggi, a 32 anni, Goetze gioca in patria con la maglia dell’Eintracht Francoforte, ma non è più un giocatore capace di incantare una nazione intera a suon di magie. Forse quei picchi troppo alti in età così giovane lo hanno schiacciato, gli hanno reso difficile mantenere un livello da campione per tutta la carriera. Gli infortuni hanno fatto il resto. A volte però basta un goal per non essere dimenticato, soprattutto se quel goal consente ai propri concittadini di urlare a squarciagola “Siamo campioni del mondo”. Cosa ci può essere di più soddisfacente?

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