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Menotti è stato l’allenatore dell’Argentina campione del mondo nel 1978, un filosofo del gioco che ha lasciato un impatto enorme sul calcio.

Fino al 1978, l’Argentina era un paese calcisticamente con grandi ambizioni e che produceva molti talenti, ma che non era mai riuscito a vincere il tanto sospirato Mondiale. Ci riuscì quell’anno, non senza sospetti e contraddizioni: il torneo era stato organizzato proprio in Argentina, e divenne anche un importante simbolo della propaganda della dittatura militare del generale Videla. César Luis Menotti si ritrovò al centro di questa storia, controversa in particolar modo per lui, che aveva 40 anni, era molto stimato come allenatore, ma era anche risaputamente comunista. La giunta considerò anche di rimuovere Menotti dalla panchina dell’Albiceleste, a causa delle sue idee politiche, ma alla fine si convenne che se qualcuno poteva condurre l’Argentina a vincere il Mondiale, quello era lui. Negli anni a venire, il Flaco sottolineò sempre come quel successo non fu il “Mondiale della dittatura”, ma fu vinto da lui e dai suoi giocatori per la gente che stava soffrendo sotto la repressione e la tragedia dei desaparecidos.

Pochi uomini nella storia del calcio sono stati influenti e hanno avuto a che fare con situazioni così serie e difficili da gestire. César Luis Menotti è morto ieri sera, il 5 maggio 2024, a Buenos Aires, dove viveva. Nato nel 1938 a Rosario, longilineo nel fisico, era stato un buon attaccante, giocando anche alcune partite con la nazionale negli anni Sessanta e arrivando anche a giocare nel Santos accanto a Pelé. Poi, nel 1971 era divenuto allenatore dell’Huracan, con cui aveva vinto il campionato del 1973, stupendo tutti con il gioco tecnico e spettacolare della sua squadra. Ancora giovane, Menotti venne considerato l’uomo ideale per guidare l’Argentina al Mondiale casalingo. Seppe mettere insiema una squadra di grande talento, valorizzando appieno giocatori come Osvaldo Ardiles e Mario Kempes, giocatore su cui puntò insistentemente nonostante all’epoca giocasse all’estero e non avesse grandi simpatie per il regime.

Il suo approccio tattico, unito allo storico successo dell’Albiceleste de 1978, lo rese un’icona nazionale. Da allora, il Menottismo – l’idea di un gioco tecnico, corale e offensivo, che si mescolava però anche alle idee politiche dell’allenatore rosarino – divenne una filosofia fondamentale nel calcio argentino, andando poi a contrapporsi al più pragmatico Bilardismo, il gioco della squadra campione del mondo nel 1986. Le due anime del calcio in Argentina, che anticiparono la grande contrapposizione politica dei figli del peronismo nei decenni successivi: il Menemismo e il Kirchnerismo.

Menotti lontano dall’Argentina: le brevi e poco fortunate esperienze europee

Dopo aver lasciato la nazionale sudamericana, nel 1983 approdò a Barcellona, dove ritrovò il suo pupillo Diego Armando Maradona, portato ai Mondiali quando aveva solo 18 anni. Quella in Catalogna fu una stagione tra alti e bassi, dovuta anche al grave infortunio subito dal suo numero 10 a inizio stagione: il Barça di Menotti non convinse mai del tutto, conquistò una Supercoppa spagnola, raggiunse la finale di Coppa del Re, ma chiuso solo terzo nella Liga, uscendo ai quarti di Coppa delle Coppe. Il Flaco tornò in patria per allenare il Boca Juniors, ma nel 1987/88 era già di ritorno in Spagna, sedendosi sulla panchina dell’Atletico Madrid, ma anche qui faticò a imporsi, venendo esonerato prima della fine della stagione.

Di nuovo il ritorno in America Latina, allenando sia nel suo paese natale ma anche in Uruguay (al Peñarol) che in Messico (la nazionale). Poi nel 1997 una nuova avventura in Europa, stavolta in Serie A sulla panchina della Sampdoria, dopo la fine dell’epoca di Eriksson. Ma anche qui le cose non andarono benissimo: fece solo 11 punti in 8 partite, e a metà novembre venne sostituito da Boskov. Negli anni successivi, Menotti allenò un po’ in Argentina e in Messico, fino a che nel 2019 non venne inserito a livello dirigenziale di nuovo nell’Albiceleste, in una veste in cui ha vinto il Mondiale del 2022 e che ha continuato a rivestire fino alla sua morte.

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