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Jadon Sancho è tornato al Borussia Dortmund e nei mille chilometri che dividono Manchester dalla città tedesca sembra aver ritrovato anche la voglia di divertirsi

La cosa peggiore che si può fare ad un calciatore – giovane o vecchio che sia – è togliergli il campo, e insieme la voglia di divertirsi. Spesso i trasferimenti a Manchester sono complicati per la differenza meteorologica, per la pioggia incessante o per la città che non sempre rispecchia le aspettative dei giocatori che vi si trasferiscono. Tra Dortmund e Manchester tutta questa differenza in realtà non c’è, sono città simili per estrazione e tessuto sociale, per condizioni meteorologiche e impatto sulla meteoropatia di chicchessia. Quindi nessuna scusa, nessuna saudade della sabbia di Rio – Robinho docet – anche se, guardando giocare Sancho con la maglia gialla del Borussia Dortmund l’accostamento al calcio carioca un po’ veniva naturale. Se cerchiamo di ricordare che cos’era Sancho fino a qualche mese fa, l’immagine di un tornado di tecnica e velocità piano piano si fa nitida nella memoria di chiunque abbia visto almeno uno scampolo di video su YouTube delle gesta del classe 2000 in Bundesliga o in Champions League. Sembrava di ammirare un membro del Brasile 2006 spostato di quindici anni nel tempo, con tutto quello che ne deriva a livello di’ struttura fisica e qualità atletiche. Ed è per questo che di Sancho è stato facilissimo innamorarsi, perché le sue discese non portavano a paragoni di qualche tipo, ma a considerarlo unico nel suo genere, parte di una specie di calciatori tutta composta da singoli esemplari simili ma diversi, accomunati da una tecnica terrificante associata ad una rapidità di movimento e pensiero fuori dal comune. Vedere Sancho giocare – anche nelle pochissime presenze a Manchester – è bello e divertente, ci ricorda perché questo sport è tanto amato nonostante la deriva capitalistica presa da diverso tempo. 

É proprio questa deriva ad aver rubato il divertimento a Sancho. A Manchester la confusione regna sovrana dall’addio di Sir Alex Ferguson e Ten Hag era stato chiamato a mettere ordine, senza che gli strumenti in suo possesso fossero sufficienti a farlo. Prima Soslkjaer, poi Rangnick, infine Ten Hag: tre tecnici, due stagioni e mezzo, ottantacinque milioni di sterline e pochissime presenze. Nel giro di trenta mesi Sancho è passato da membro onorario di una tribù calcistica fenomenale a oggetto di speculazioni sulla mancanza di talento vero, sull’idea che, forse, ci si era tutti un po’ sbagliati nell’ammirare quel ragazzo troppo giovane per essere vero. E allora bisognerebbe andare a studiare quanti a Manchester sponda United stanno progressivamente facendo la fine di Sancho, quanti – come Rashford – si trovano a giocare a corrente alternata per cause esterne al proprio talento, quanti gli errori commessi nella gestione di una squadra che qualche stagione fa è stata eletta come la più costosa nella storia del calcio. Non bastano sterline spese un po’ a caso per costruire un ambiente positivo per coltivare e far sbocciare il talento, e Old Trafford ne è purtroppo una recente conferma. 

Per Sancho c’è sempre il Dortmund 

Ed è così che in poco meno di due mesi abbiamo rivisto il Sancho che tutti conoscevamo. Maglia giallonera, scarpette colorate, un sorriso grande così sbocciato dopo appena ventidue minuti in campo alla prima partita, quando con l’assist a Marco Reus ha ritrovato uno dei compagni che ne avevano aiutato la fioritura in un Dortmund fecondo come non mai. É utile a questa apologia ricordare i risultati ottenuti nell’ultima stagione in Germania: trentotto presenze, sedici gol e venti assist a vent’anni, risultando il miglior giocatore di una squadra che tra le sue fila aveva Bellingham e Haaland, per citare due giocatori che in ambienti più adatti male non stano facendo. 

La rete segnata contro il PSV Eindoven dopo appena tre minuti ha restituito il sorriso a tutti gli ammiratori dell’attuale numero dieci del Borussia, perché vederlo segnare in quel modo, con una libertà ritrovata dopo anni di prigionia da panchina ha il sapore di una rinascita ancora in divenire. Sancho ora sta bene, e quindi stiamo meglio un po’ anche noi, che vedendolo giocare ci ricordiamo quanto sia bello questo sport. 

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