Il Santos è retrocesso per la prima volta nella sua storia in Brasile: cosa succede al club di Pelé e Neymar? I motivi della crisi.
Poche settimane dopo che un’altra brasiliana ha vinto la Copa Libertadores (il Fluminense, in finale contro il Boca Juniors), il club club più famoso del paese sudamericano affronta il momento più drammatico dei suoi 111 anni di storia. Sconfitto giovedì notte nell’ultima di campionato contro il Fortaleza, il Santos – il club che ha prodotto fenomeni come Pelé e Neymar – è retrocesso per la prima volta nella seconda divisione brasiliana. Un risultato inaspettato e imprevedibile, per una squadra dal palmares eccezionale: 22 campionati paulisti, 8 campionati nazionali brasiliani, una Coppa del Brasile, una Recopa Sudamericana, 3 Coppe Libertadores e due Coppe Intercontinentali. Ma è anche vero che questo drammatico episodio, che ha portato a diversi disordini nelle strade dopo il match col Fortaleza, è solo il punto di arrivo di un declino che dura ormai da diversi anni.
L’ultima affermazione internazionale del Santos risale infatti al 2012, con la conquista della Recopa (in pratica, il corrispettivo sudamericano della Supercoppa UEFA), mentre è addirittura dal 2016 che il Peixe non mette un trofeo in bacheca. In quell’occasione vinse infatti il suo 22° titolo statale di San Paolo, sotto la guida tecnica di Dorival Junior e con in campo i veterani Renato, Elano e Ricardo Oliveira, oltre al giovane talento Thiago Maia. Il titolo nazionale brasiliano, invece, manca addirittura dal 2004, quando in panchina sedeva Vanderlei Luxemburgo e in campo giovano l’ex Inter, Bologna e Genoa Zé Elias e i giovani Elano e Robinho. Sono quindi quasi vent’anni che il Santos non si laureava campione del Brasile, più di dieci che non vinceva un titolo continentale, e addirittura sette che non primeggeva nel proprio stato. La retrocessione di oggi è quindi sintomo di una crisi più profonda che investe l’intera gestione del club degli ultimi anni.
Perché il Santos è retrocesso
Dietro alle motivazioni sportive per la caduta del Peixe in seconda divisione ci sono questioni economiche di difficile risoluzione. Da diversi anni il club denuncia debiti consistenti, che un anno fa ammontavano a circa 52 milioni di euro: si tratta di una cifra in calo rispetto agli anni precedenti, ma ancora molto alta, e che ovviamente è stata raggiunta solo grazie a numerosi sacrifici. Primo tra tutti, un severo contenimento delle spese, che ha avuto come diretta conseguenza un progressivo indebolimento della rosa, che in ultimo ha reso il Santos poco competitivo e ha condotto anche a questa clamorosa retrocessione. I debiti si sono formati a causa della malagestione degli anni passati e della difficoltà nel reperire investimenti da altre fonti, cosa riuscita invece ad altri club brasiliani (su tutti Flamengo, Palmeiras, Fluminense e Corinthians). Ma a fallire è stato in generale il modello finanziario del Santos, che da anni si manteneva sulla produzione di giovani talenti di grande prospettiva da rivendere all’estero ad alto costo.
È emblematico il caso della selezione brasiliana che ha preso parte agli ultimi Mondiali in Qatar, un anno fa: nei convocati di Tite non solo non c’era nessun giocatore del Santos, ma addirittura solo due elementi cresciuti nel suo settore giovanile, Neymar (che ha lasciato la squadra nel 2013) e Rodrygo (che se n’è andato invece nel 2019). Il che non vuol dire che la formazione paulista, sebbene un po’ in crisi a livello produttivo, non abbia sfornato in questo anni giocatori promettenti. Il fatto, semmai, è che il Santos non riesce più a venderli per cifre veramente vantaggiose: nelle ultime quattro stagioni, sono stati venduti giocatori appena maggiorenni come Kaio Jorge, Kayki, Angelo e Deivid Washington, che hanno portato un guadagno complessivo di appena 45 milioni di euro, ovvero la stessa cifra ottenuta nel 2019 per la cessione al Real Madrid del solo Rodrygo. Oggi, il maggior talento del Santos è il 20enne Marcos Leonardo, miglior realizzatore del club nella stagione appena conclusa con 13 gol, su cui c’è forte il pressing della Roma, oltre chi di altri club europei: la società sperava di poterlo vendere a gennaio o nell’estate del 2024 per 20 o 30 milioni di euro, ma con la retrocessione in Serie B il giocatore premerà per andarsene via il prima possibile, forzando la mano per una cessione a prezzo scontato, vanificando un altro possibile guadagno in grado di alleviare i problemi economici del club. La crisi, quindi, rischia di peggiorare ulteriormente.