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I risultati delle proprietà americane nel calcio europeo non sono molto positivi, finora. Tolti Liverpool e Milan, le altre stentano e retrocedono.

A una giornata dalla fine della Serie A, il massimo campionato italiano ha già dato due verdetti: le prime sicure retrocesse in B sono Venezia e Genoa, due società accomunate dall’essere entrambe di proprietà statunitense. E che oggi rappresentano loro malgrado un trend abbastanza diffuso in Europa, in cui i club in mano americana faticano a raggiungere risultati positivi.

In Italia, dove queste società stanno aumentando negli ultimi anni, la cosa è abbastanza evidente, nonostante quest’anno potrebbe arrivare le “compensazioni” dello scudetto del Milan e della vittoria in Conference League della Roma. Ma già solo guardando all’anno scorso, ultima classificata era stata il Parma, che quest’anno ha fallito, nonostante i grossi investimenti, il ritorno in Serie A. E anche all’estero non si scherza.

I cattivi risultati delle proprietà americane nel calcio europeo

Per un Venezia e un Genoa che scendono di categoria – i rossoblù addirittura dopo 15 anni ininterrotti di Serie A, e pochi mesi dopo il cambio di proprietà – abbiamo anche un’Atalanta, da poco passata a Bain Capital, che sta vivendo la sua peggior stagione dall’inizio della gestione Gasperini e che rischia di restare fuori dall’Europa.

Mentre, nel campionato cadetto, il Pisa è ancora in corsa per la promozione ai playoff – domani sera si gioca la semifinale col Benevento – il Bologna di Joey Saputo non è mai andato oltre il 10° posto in Serie A. La Roma americana ha raggiunto tre secondi posti, ma in dodici anni non ha messo in bacheca nemmeno un titolo, a dispetto delle spese sostenute, e la Fiorentina è ancora a caccia della prima qualificazione europea da quando il club è passato nelle mani di Rocco Commisso.

Anche all’estero, però, le proprietà americane vivono grosse difficoltà. L’eccezione di turno è il Liverpool, che con Jurgen Klopp in panchina è tornato stabilmente tra le big d’Europa, ma il rovescio della medaglia è rappresentato dalle grosse delusioni del Manchester United e dell’Arsenal. Più in piccolo il Burnley, celebrato per il suo equilibrio tra investimenti e risultati, è passato di recente allo statunitense Alan Pace e ora è retrocesso dopo sei stagioni di Premier League.

Perché i risultati delle proprietà americane scarseggiano

Capire dove sta il problema non è affatto semplice, anche per i differenti contesti e le differenti ambizioni. Il caso italiano è sicuramente diverso da quello inglese: gli investitori a stelle e strisce arrivano nel nostro paese puntando soprattutto città d’arte come Roma, Firenze, Venezia e Bologna, interessati più a valorizzare un prodotto commerciale che un club di calcio.

Il Venezia, da questo punto di vista, rappresenta forse l’esempio migliore: VFC Newco 2020, la società che controlla il club da due anni, ha investito molto poco nel calciomercato, e a metà stagione in molti erano rimasti sorpresi dalla buona posizione in classifica della squadra. Il Genoa di 777 Partners ha speso qualcosa di più, ma le sue scelte in panchina – prima Shevchenko, un nome molto mediatico ma dalla ridotta esperienza, e poi Blessin, promettente ma quasi sconosciuto – denotano un approccio basato più sulla scommessa che sull’investimento sicuro.

Sarebbe però un errore pensare che le proprietà americane nel calcio italiano siano disinteressate all’aspetto sportivo, che resta di grande importanza nel successo di un brand. Roma e Fiorentina hanno fatto grossi investimenti, in questi anni, pur senza ottenere i risultati sperati almeno fino a ora: la motivazione va ricercata spesso nella mancanza di esperienza gestionale e nella difficoltà nel delineare un chiaro progetto sportivo. Quello che è sicuro che l’equivalenza che si faceva un tempo tra proprietario straniero, grossi investimenti e successo assicurato in breve tempo si sta rivelando piuttosto fallace.

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