Allegri ha ribadito in conferenza stampa che con i giovani serve tempo e gavetta, nonostante all’estero l’approccio sia totalmente diverso.
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I giovani devono fare gavetta: è questo il senso del discorso di Allegri nella conferenza stampa di venerdì pomeriggio. “Vengono avanti giocatori che crescono dalla Lega Pro, poi vengono in Serie B e poi in Serie A. Come si usava trent’anni fa” ha spiegato. Ma il problema è che non è proprio così: non lo è oggi e non lo era trent’anni fa.
Basta pensare a una leggenda bianconera come Alex Del Piero, che dopo 14 partite in B col Vicenza a 19 anni era nella Juventus e un anno scalzava Baggio. Totti era titolare nella Roma a 18 anni, e in generale gran parte dei giocatori che ha vinto il Mondiali 2006, maturati proprio tra venti e trant’anni fa, ha seguito un percorso molto più rapido di quello che dice Allegri.
Allegri e i giovani
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Sembra piuttosto che l’allenatore della Juventus abbia voluto aggiungere un ennesimo capitolo alla sua strenua lotta contro la modernità , parte del personaggio che si è lasciato cucire addosso in questi anni e che, per qualche strana ragione, ritiene essergli funzionale.
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Scommettere sui giovani, secondo lui, è “una moda” destinata a svanire. Haaland, Bellingham, Musiala, Reyna, Sancho, Davies e tutta la loro generazione sono però molto più che un fenomeno passeggero: ad Allegri sembra sfuggire che oggi più che mai le nuove generazioni si stanno rivelando più mature delle precedenti, sia nel calcio che fuori da esso (basta guardare ai ragazzi di Friday For Future, per esempio).
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L’età media in cui i campioni emergono si è notevolmente abbassata, è anche se questo fosse un fenomeno passeggero non c’è nulla di furbo o intelligente nel remarci contro. Prima di tutto perché se hai un giovane di prospettiva che già oggi può darti qualcosa, ha poco senso mandarlo in Serie C. E secondariamente perché, da che mondo è mondo, chi segue le mode vive il momento, è al passo coi tempi; chi invece le rifiuta per restare ancorato al passato è semplicemente “fuori moda”.
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Piuttosto, il dubbio potrebbe essere un altro: la Juventus ha giovani di talento che già oggi potrebbero dare qualcosa alla sua squadra? E se non ne ha, perché? In questi anni, club come Barcellona, Real, Borussia Dortmund, Bayern, Chelsea e Manchester United hanno lanciato tante promesse in prima squadra; la Juve, invece, ha solo due giocatori in rosa cresciuti nel proprio vivaio, Kean e Pinsoglio. In tre anni di esistenza, la Juventus U23, pensata sul modello del Barcellona B, non ha lanciato un solo giocatore nella prima squadra.
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Allegri, ai tempi del Cagliari e ancora del Milan, si era fatto una fama completamente diversa, sia a livello tattico che nel suo rapporto coi giovani. Fu lui a lanciare De Sciglio, per esempio; alla Juve, qualche anno fa, pronosticò un grande futuro per l’allora 17enne Fagioli, che però adesso deve andare in prestito in B alla Cremonese se vuole vedere il campo. Soulé magari è un caso limite, e Scaloni l’ha semplicemente sparata grossa, ma come non pensare al caso di Zaniolo, che da riserva dell’Entella in B arrivò in Nazionale per volontà di Mancini e di colpo esplose alla Roma?
L’inutile lotta contro la modernitÃ
Le parole di Allegri sui giovani, coda di una serie di dichiarazioni e atteggiamenti a cui assistiamo dall’inizio della stagione (pensiamo alla gestione di De Ligt e Chiesa), non possono non sembrare assurde. Soprattutto per un club che sta cercando di mostrarsi giovane e moderno come la Juventus, e che in rosa ha giocatori come Chiesa, Locatelli e Kean che quella tanto decantata gavetta non l’hanno fatta.
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Se il tecnico livornese deve portare avanti questo suo personaggio da conservatore che parla e gioca semplice e predica contro gli intellettualismi, probabilmente dovrebbe riconsiderare la sua strategia mediatica. Non è un caso che in questi due anni nessuno grande club lo abbia mai preso in considerazione nonostante le due finali di Champions League (la convinzione che abbia aspettato pazientemente la Juve vale quella dell’esistenza di Babbo Natale).
Allegri sta alimentando ostinatamente e inspiegabilmente un’immagine da allenatore completamente anti-moderno e fuori dal tempo, sia sotto il profilo del gioco che della comunicazione che della gestione dei giocatori. Negando l’idea stessa di un chiaro futuro della sua squadra, sta imponendo ai tifosi una scommessa rischiosa: essere giudicato unicamente sui risultati, quello che gli era stato rinfacciato in diretta tv anni fa e che ha trasformato oggi in un fattore identitario. I risultati, però, lo vedono al momento decimo in classifica.
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