Tassotti Luis Enrique, una gomitata entrata nella storia e i quarti di finale dei Mondiali 1994. Ora il ct della Spagna ritrova l’Italia ad Euro 2020
“Hijo de puta! Hijo de puta!”. In mondovisione, un grido disperato di un uomo, un ragazzo, che gronda sangue dal naso. “Hijo de puta!”, Luis Enrique non ci vede più, è arrabbiato col mondo e soprattutto con chi gli ha tirato quel codazo, quella gomitata. Con Mauro Tassotti, insomma. È il 9 luglio del 1994 e l’Italia riesce a passare alle semifinali del Mondiale negli Stati Uniti, Roberto Baggio ha appena segnato il secondo gol degli Azzurri dopo il vantaggio firmato da Dino Baggio e il pareggio di Caminero.
Eppure l’immagine che accompagna quella vittoria è Luis Enrique, oggi commissario tecnico della Spagna e all’epoca giocatore del Real Madrid, che con la bocca rosso sangue esce dal campo. Impossibile da dimenticare.
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Tassotti: nove di maglia, nove di ruolo
Minuto 94 di una partita agonica, che la Spagna ha riacciuffato e che solo un erroraccio di Salinas davanti a Pagliuca ha evitato che prendesse definitivamente la via degli uomini di Javier Clemente, il commissario tecnico basco che di corregionali ne ha convocati otto, oltre un terzo ella rosa. Uno di questi, Jon Andoni Goycoechea, da destra crossa alla disperata verso il centro, non ci sono più schemi in un pomeriggio atrocemente caldo, gli spagnoli forse erano già proiettati verso i tempi supplementari, ma c’è ancora una chance.
Palla in mezzo troppo lunga, anche se in area Luis Enrique sembra poterci arrivare; invece crolla a terra, dopo un contatto con Mauro Tassotti. Il terzino del Milan indossa un anacronistico 9 sulla spalla, in quell’epoca in cui le nazionali ancora assegnavano i numeri di maglia in base all’ordine alfabetico, come a scuola. Tranne alcuni “più uguali degli altri”, come Roberto Baggio in quel caso, a cui era stato dato il 10.
Tassotti col 9 invece che con il 2, il suo numero al Milan, è come una macchia rossa su un grande dipinto, è come la carbonara con la panna: non c’entra niente. Ha 34 anni, ma è solo alla sua seconda presenza in un Mondiale dopo aver vinto tutto in maglia rossonera, compresa la Coppa Campioni conquistata poche settimane prima contro il Barcellona ad Atene, e da capitano, per via dell’assenza di Franco Baresi.
Per il gioco di Sacchi è fantastico, un terzino destro che va su e giù, con un gran piede (chiedere a Van Basten, sulla cui testa scodellò il cross del 2-0 nella finale di Coppa Campioni del 1989 contro lo Steaua Bucarest), ma che è stato totalmente anacronistico nel calcio delle marcature a uomo perché “troppo offensivo”. Quindi né Bearzot né Vicini l’avevano mai preso in considerazione, preferendogli altri interpreti, del tutto diversi, nei loro simil-5-3-2. Il “Vate di Fusignano” l’ha fatto debuttare contro l’Irlanda, all’esordio nel Mondiale Usa, ma la sconfitta 0-1 aveva richiesto modifiche, quindi Benarrivo e Mussi al posto del “Tasso”, che si era accomodato senza fiatare in panca.
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Dopo il contatto con Tassotti c’è Costacurta che richiama l’attenzione dei sanitari, mentre nel frattempo Luis Enrique si alza e va dritto dall’arbitro, l’ungherese Sandor Puhl. Non piove, ma tutti i giocatori danno l’impressione di essere stati dentro un autolavaggio, per colpa dell’umidità che opprime il Massachussetts. Tassotti, che sembra altrettanto intontito, viene invece portato via da Pagliuca.
C’è forse anche poca voglia di attaccare rissa, poca energia; l’unico che proprio non riesce a stare fermo è il giocatore del Real Madrid, schierato inizialmente come unica punta da Clemente, mentre nel suo club funge più da esterno offensivo assieme a Zamorano e Butragueno. È, insomma, un “falso nove” quando questo concetto non esiste ancora, perlomeno standardizzato come oggi. Quando nel secondo tempo entrerà Salinas, Luis Enrique si sposterà di nuovo sull’esterno.
Porca miseria!
Con il Var oggi quell’intervento sarebbe stato da considerare falloso, e quindi punibile con un calcio di rigore. Invece niente, l’arbitro Puhl non vede nulla e lascia correre fino alla fine della partita, nonostante Luis Enrique, col naso grondante sangue, cerca in ogni modo di convincerlo.
Il fischietto ungherese non segnala niente, ma la Fifa sì che ha visto. Non si può far rigiocare la partita, ma a Tassotti viene appioppata la squalifica più pesante nei confronti di un calciatore nella storia di un Mondiale: ben otto giornate. Usa ’94 per il terzino italiano è finito, ma pure la carriera con la maglia azzurra.
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“Stavamo lottando per la posizione, ci siamo spintonati, è vero. Ci siamo urtati. Io ero davanti, non so mica in che modo l’ho colpito – si giustifica Tassotti –. Gli spagnoli dicono che è stata una gomitata. Volontaria, per di più. Ripeto: l’ho colpito, ma non l’ho fatto apposta. Mi è spiaciuto molto, in quei momenti la lucidità era quella che era. Sono andato anche da lui a fine gara, ho visto il sangue sul viso, ci sono rimasto male. Volevo scusarmi, parlargli: non c’ è stato verso”. Anche Sacchi difende il suo giocatore: “Dopo la partita, ho parlato con Mauro, gli ho chiesto spiegazioni: so che è una persona seria, mi ha detto che era stato trattenuto, ha fatto un gesto istintivo per liberarsi; alle volte nel calcio si va oltre le proprie intenzioni”.
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In effetti Luis Enrique non accetterà le scuse dell’italiano, mentre il giorno dopo il quotidiano Marca esce con una delle sue prime pagine più celebri: “Porca miseria!”, c’è scritto, letterale. “Italia, che fortuna hai”, è l’aggiunta nel titolo. Nelle ultime settimane quell’episodio è tornato spesso nelle discussioni sui mezzi di comunicazioni spagnoli: qualcuno ha addirittura paragonato Tassotti ad alcuni tifosi iberici che avrebbero voluto prendere a gomitate Luis Enrique per come stava giocando la Nazionale.
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