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Sandro Puppo è un allenatore italiano poco conosciuto, ma fu il primo a portare la Turchia ai Mondiali, nel 1954. La storia dei rapporti calcistici tra Turchia e Italia, però, è molto più lunga

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Potrebbe non sembrare, ma Turchia Italia è una sfida dal sapore storico-calcistico molto ben radicato, che affonda le sue radici addirittura ai primi anni Cinquanta. Pochi sanno, infatti, che la Turchia non è emersa nel mondo del calcio solo nell’ultimo ventennio (con il Galatasaray che vinse Coppa e Supercoppa UEFA nel 2000, ponendo le basi per il terzo posto iridato del 2002), ma addirittura nel 1954.

Risale quindi ai Mondiali in Svizzera la prima esperienza internazionale della Turchia, capace di costringere i futuri campioni della Germania Ovest allo spareggio per superare il girone eliminatorio. E in panchina sedeva proprio un italiano, Sandro Puppo.

La storia di Sandro Puppo

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Piacentino classe 1918, Sandro Puppo era stato un buon centrocampista con le maglie di Piacenza e Venezia, comparendo anche brevemente con Inter e Roma e nelle rosa dell’Italia che vinse l’oro olimpico nel 1936, ma la sua storia merita d’essere conosciuta soprattutto per ciò che fece come allenatore. Propugnatore di idee tattiche moderne e fuori posto nell’Italia dei tempi (era un convinto sostenitore della difesa a zona e di un calcio più propositivo), fece molta fatica ad affermarsi nel nostro Paese, e fu costretto a emigrare.

Lo spirito cosmopolita ce l’aveva nel sangue, poiché era cresciuto a Shanghai per il lavoro del padre. La sua meta fu la Turchia, che nel dopoguerra stava aprendosi al calcio e aveva scelto l’Italia come modello di riferimento: nel 1949 aveva fatto molto scalpore l’ingaggio, da parte del Besiktas, di Giuseppe Meazza come nuovo allenatore. Sandro Puppo seguì una carriera simile, arrivando a Istanbul per guidare la Nazionale e, dopo un anno, affiancando a questo incarico la guida proprio dei bianconeri della capitale.

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Fu grazie alla sua gestione che la Turchia riuscì a qualificarsi a sorpresa per i Mondiali, eliminando contro ogni pronostico la ben più quotata Spagna. Dopo il torneo iridato, fu proprio nel paese iberico che continuò la carriera di Puppo, che venne scelto come primo (e finora unico) allenatore italiano del Barcellona. La sua unica annata blaugrana si concluse con un buon secondo posto, quando gli si presentò l’occasione della vita: la chiamata sulla panchina della Juventus.

Purtroppo, l’Italia restava un paese lontano anni luce dalle sue idee tattiche, e la Juventus era in un periodo d’incertezza e rifondazione: Sandro Puppo fu scelto per via del suo modesto ingaggio, per fare da gestore a una squadra giovane in attesa che la dirigenza si assestasse su un nuovo progetto. Durò meno di due stagioni in bianconero, e da lì la sua carriera si spense, portandolo nelle serie minori italiane. Nel corso degli anni Sessanta tornò in Turchia, allenando di nuovo il Besiktas e, in due momenti diversi, la Nazionale.

Turchia Italia, una lunga storia di rapporti calcistici

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Ma la storia del calcio tra Turchia e Italia non si limita certo a Sandro Puppo. Come detto, qualche anno prima di lui Meazza aveva fatto da apripista e, pur non ottenendo grande successo a Istanbul, pose le basi per una lunga storia. Di allenatori, innanzitutto: alla fine degli anni Cinquanta, l’ex-difensore di Milan e Lazio Leandro Remondini allenò Besiktas, Nazionale turca, Altay e Galatasaray. Poco prima di lui, la Turchia era stata guidata da Giovanni Varglien, ex-centrocampista della Juventus.

Ma gli scambi calcistici tra le due nazioni hanno riguardato anche i calciatori, e ben prima del celebre approdo in Serie A di Hakan Sukur (nel 1995 al Torino). Già nel 1950, forse proprio su suggerimento di Meazza, la Lazio acquistava il centravanti del Besiktas Sukru Gulesin, che fu protagonista di due ottime stagioni, prima in prestito al Palermo (13 gol in 28 partite) e poi di ritorno in biancoceleste (16 gol in 29 partite).

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In quegli anni, la Serie A visse una sorta di “febbre turca”: la Salernitana ingaggiò il difensore Bulent Eken, che poi fece bene ancora al Palermo, e la Fiorentina portò in Italia il fantasista del Fenerbahçe Lefter Kuçukandonyadis, all’epoca considerato il maggior talento turco in circolazione, ma che a Firenze soffrì qualche difficoltà d’ambientamento, disputando una buona stagione ma trasferendosi al Nizza dopo un solo anno.

Meno noti furono Aziz Esel Bulent, prolifica punta della Spal tra il 1951 e il 1954, e Metin Oktay, attaccante acquistato nel 1961 dal Palermo (ormai patria calcistica italiana dei turchi) dopo che Remondini si era seduto sulla panchina rosanero: di ritorno dal Galatsaray, il tecnico italiano aveva in Oktay un suo pupillo e lo aveva voluto a Palermo come possibile erede di Gulesin, ma per entrambi l’avventura siciliana durò pochi mesi.

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Ultimo e più noto dei pionieri del calcio turco in Italia è senza dubbio Can Bartu, elegante trequartista del Fenerbahçe che, sull’esempio di Kuçukandonyadis, approdò con molte aspettative a Firenze nel 1961. Nonostante una discreta stagione, sebbene non da titolare, e lo sfizio di primo turco a giocare una finale europea (quella di Coppa delle Coppe contro l’Atletico Madrid), le cose migliori le fece l’anno seguente in prestito al Venezia e, ancor di più, tra il 1964 e il 1967 alla Lazio.

Dopo di lui, si sarebbe però dovuto attendere Sukur al Torino per rivedere un turco in Serie A, arrivando nei primi anni Duemila ad assistere a una seconda ondata anatolica nel nostro campionato (Okan Buruk, Emre Belozoglu, Umita Davala), che prosegue tutt’oggi. Tra gli allenatori, si ricorda l’esperienza di Nevio Scala al Besiktas nel 2000/2001, in contemporanea con l’arrivo in Italia del primo allenatore turco, Fatih Terim alla Fiorentina.

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